L’altra metà delle note
«Fin dall’inizio della nostra attività, consideravamo le compositrici quali musiciste sconosciute, senza distinzione tra Mel Bonis e Théodore Gouvy o Cécile Chaminade e Félicien David. Ma al giorno d’oggi che la questione del ruolo delle autrici nella programmazione internazionale è diventata così importante (e giustificata), abbiamo pensato che potesse essere utile dare nuove idee a musicisti o istituzioni. Perché non basta la determinazione a programmare questa musica: servono concretamente anche spartiti da leggere e suonare, e musica da ascoltare».
A parlare è Alexandre Dratwicki, musicologo francese, direttore scientifico di Palazzetto Bru Zane, nonché del Centre de musique romantique française, entrambi con sede a Venezia, dove, appunto, preceduto da recital e conferenza dell’8 marzo (Festa della Donna), si è tenuta la rassegna «Festival a Venezia. Compositrici!», sette concerti da oggi all’11 maggio con ulteriore appendice il 17 giugno (per altre informazioni si rimanda all’ottimo sito https://bru-zane.com).
L’iniziativa fa parte di un più vasto progetto che comprende la recente uscita di un cofanetto di otto cd dal titolo Compositrices. New Light on French Romantic Women Composers (da poco recensito su queste pagine), oltre programmi sinfonici o lavori operistici in tutta Europa, di cui l’appuntamento maggiore resta forse la versione da concerto del Fausto (1831) di Louise Bertin previsto a Parigi per giugno. A livello di proposta culturale, nelle intenzioni di Dratwicki, in generale l’idea «è quella di promuovere diversi generi (nella musica da camera) su un ampio periodo che va dal 1830 al 1920, mostrando la varietà di questo repertorio sconosciuto. Un’occasione per dimostrare che non esiste ‘una sola musica femminile’ ma, ovviamente, un’ampia gamma di stili dal post-beethoveniano all’ispirazione debussyana, dal mood wagneriano germanico alla modernità degli anni Venti».
TUTTO CAMBIA
È utile rammentare che le donne sono una parte decisiva nella vita artistico-musicale durante il XIX secolo, ma risultano valorizzate solo quali strumentiste o cantanti, come accade ad esempio con Caroline Branchu, Pauline Viardot e Cornélie Falcon (voci), Hélène de Montgeroult (pianoforte), Lisa Cristiani (violoncello), Henriette Renié (arpa). Sono veramente rare le figure, i cui nomi appaiono in qualità di compositrici r itenute credibili: Louise Farrenc e Augusta Holmès restano in tal senso, all’epoca, le più note e importanti. Tutto cambia all’inizio del XX secolo, quando si palesano i primi movimenti femministi e nella cultura, nelle scienze, nella politica si impone un’alternativa al predominio maschile. Lili Boulanger, in musica, è la prima che anticipa anche la modernità del proprio tempo, mentre alcune compositrici del primo Novecento scelgono personaggi femminili dal carattere decisivo, nella storia o nella mitologia, come fonte d’ispirazione per la loro musica; emblematico, al proposito, il caso di Mel Bonis che scrive musica per pianoforte su Cleopatra (celeberrima regina egizia), Viviana (amica di Mago Merlino), Dejanira (principessa di Calidone nell’antica Grecia), Onfale (sovrana della Lidia, con Ercole come schiavo).
L’epoca attuale vive però ancora nell’incertezza e alla domanda se, come opinione personale, ritenga che la donna oggi sia ancora discriminata nella musica classica, Dratwicki non ha dubbi: «Nell’area di composizione, sì, certo. E forse il problema sarà che tutto ciò che è stato composto da donne in passato non esisterà mai. Quindi sarà impossibile trovare un equilibrio nella programmazione della musica del XIX secolo».
E tentando una sorta di dialettica fra i tre secoli (XIX, XX, XXI) magari è utile conoscere, dal musicologo e direttore del «Festival a Venezia. Compositrici!» chi raccoglie il testimone in epoca recente e chi è la donna musicista più moderna o attuale tra quelle del vicino passato: «Florence Launay è la prima, nel tardo Novecento, a scrivere una vera e propria storia delle compositrici donne. Prima di lei, e anche se la ricerca ha già iniziato a dare il loro vero posto a queste figure, i dizionari o le storie (scritte da uomini…) bandivano le donne perché avevano ‘creato’ uno stile nuovo e personale. Anche Farrenc o Holmès – che ebbero un grande successo durante la loro vita – furono cancellate dalla storia musicale francese. Se dovessi scegliere due figure che, realmente, partecipano alla creazione del romanticismo e del post-romanticismo, direi Hélène de Montgerould (che a volte sembra Schubert o Chopin venti anni prima di iniziare a comporre), e Augusta Holmès (per il potente wagneriano stile che molti compositori uomini del suo tempo cercano di sviluppare ma non riescono con la stessa qualità).
UNA LETTERA
Partita da un blog, nel 2009, a contatto con le maggiori compositrici fra elettronica ed elettroacustica (Suzanne Ciani, Louise Spiegel, Pauline Oliverios, di cui alla fine riporta lo stralcio di una lettera preveggente) Johann Merrich presenta il sound «elettrico» sotto una nuova luce, incontrando, negli ambienti accademici italiani, scarsa voglia di riposizionare l’ago della bilancia o trovare un punto d’equilibrio, con una disparità di narrazione storica concernente non solo i generi ma anche le geografie e le culture: «(…) È raro – precisa Johann – sentire parlare, ad esempio, di Halim El Dabh, pioniere egiziano della manipolazione del suono ben prima di Pierre Schaeffer, o di altri contributi di donne e uomini neri – come l’indiana Gita Sarabhai o Lavinia Williams, che è stata una delle prime performer del Terpsitone o, ancora, di Olly Wilson, un grande compositore afroamericano insignito di premi prestigiosi per l’elettroacustica a partire dagli anni Sessanta. Trovo che gli ambienti della cultura ‘non ufficiale’ – blog, siti web, magazine – siano molto più ricettivi, curiosi e pronti a cambiare le pagine della storia, ma c’è bisogno di alimentarli con intelligenza, per non incorrere nella creazione o nella ripetizione di pericolosi stereotipi, come ad esempio: ‘le uniche donne pioniere della musica elettronica sono una decina di signore statunitensi o inglesi!’».
L’excursus femminile, nel libro Breve storia della musica elettronica e delle sue protagoniste, inizia con Ginette Martenot, sorella del più celebre Maurice, inventore delle onde musicali che portano il loro cognome: «Se oggi conosciamo l’Onde Martenot è anche grazie all’impegno di Ginette Martenot, alla sua dedizione e alla sua costanza nella promozione e nell’insegnamento di questo nuovo strumento musicale. Ginette Martenot ha affiancato il fratello sin dai giorni del concepimento della straordinaria invenzione e credo che l’aspetto più interessante di questa storica figura sia quello d’aver agito sia da promotrice del nuovo strumento – attraverso i tanti concerti e le incisioni per le colonne sonore del cinema – sia da teorica e pedagoga capace di trasmettere a molti giovani il metodo d’impiego dello strumento per garantirgli una sopravvivenza nel futuro e incentivare la scrittura di opere a esso dedicate. L’attenzione rivolta ai metodi di erudizione dello strumento ha certamente contribuito al trionfo dell’Onde Martenot nell’immaginaria gara ‘contro lo strumento rivale dell’etere’, ossia il Theremin, che all’inizio non poteva contare in nessun metodo ratificato o istruzione per l’uso. Assieme alla sorella Madleine, Ginette Martenot ha poi creato il «metodo Martenot» che, ancora oggi, è il cuore pulsante di numerosi centri d’insegnamento ed educazione creativa in Europa».
Esistono poi tante compositrici ed esecutrici che aggiungono qualcosa allo strumento e alla fama delle Onde Martenot in diverse epoche: «Valérie Hartmann-Claverie – che è stata parte del sestetto fondato da Jeanne Loriod, grande virtuosa e autrice dei tre volumi didattici Technique de l’Onde Électronique type Martenot – è riuscita a contaminare compositori appartenenti ad altri regni musicali, come Jonny Greenwood, che proprio grazie a lei si è appassionato dello strumento, poi impiegato in diverse tournée dei Radiohead o nella colonna sonora del film Il petroliere di Paul Thomas Anderson. A Jean Laurendeau si deve invece la fondazione dell’Ensemble d’Ondes de Montréal del Conservatorio di Musica dell’omonima città canadese a metà degli anni Settanta, e dunque la colonizzazione ufficiale di un nuovo continente. Ognuna ha fatto la sua parte e credo che ci siano ancora molte protagoniste da scoprire e ricordare per il loro ruolo e il loro valore». Con Martenot e con il pendant Termen (Theremin) finisce simbolicamente l’Ottocento tra melodramma e romanticismo e irrompe, anche nella cultura musicale, il Novecento dove effettivamente sarà l’elettricità a scombussolare i rapporti tra arte, tecnologia, comunicazione. E per la Merrich interrelazioni o parallelismi fra i sovvertimenti estetici e l’emancipazione femminile esistono soprattutto nella musica d’avanguardia: «La storia delle pioniere alle prese con le nuove tecnologie e con nuovi linguaggi musicali risente di moltissime connessioni, probabilmente perché le radici di questa parabola si innestano nel principio del XIX secolo e seguono lo scorrere di un periodo potentissimo e denso di rivoluzioni, in tutti gli ambiti. Anche le situazioni più terribili e funeste, come i due eventi bellici mondiali, hanno finito col diventare rampe di lancio per il maggior coinvolgimento delle donne in mansioni tecnologiche fino ad allora di solo accesso maschile; per rimpiazzare gli uomini impegnati al fronte (o deceduti in massa), le donne hanno dovuto, per forza di cose, misurarsi con la nuova tecnologia».
TECNOLOGIE
Molto complesso, troppo spesso piallato e ridotto a stereotipi superficiali risulta ancora il discorso delle relazioni tra le donne e le tecnologie nel secolo scorso, che di conseguenza sfocia nel rapporto tra le donne e i mezzi necessari per parlare nuove lingue anche nella musica: «Ad esempio – continua la musicologa/musicista – non si racconta mai, che per un certo periodo le donne sono state strumentalizzate dalla comunicazione di massa per far passare meglio l’idea che un nuovo ritrovato tecnologico – che magari funzionava con la ‘pericolosa’ corrente elettrica – era semplice da usare e sicuro, tanto che poteva essere impiegato anche da una donna… Questo tipo di manipolazione compare in maniera molto forte soprattutto negli Stati Uniti, ed è forse una delle spiegazioni sul perché il Theremin agli albori della commercializzazione statunitense, sia stato promosso pubblicamente da un grandissimo numero di donne virtuose».
Nel repertorio degli ascolti citati a fine libro Johann parla di «mondo sommerso italiano»: anche in rapporto alla situazione mondiale, al pari di altre nazioni «(…) L’Italia ha avuto le sue pioniere della musica elettronica e del suono nuovo: Teresa Rampazzi è probabilmente il nome più celebre, ma ce ne sono molte altre che hanno lavorato con sintetizzatori e nastri magnetici negli anni Sessanta, Settanta e successivamente. In particolare, gli ambienti della musica per sonorizzazioni – meglio conosciuta anche all’estero come library music- vantano talenti come Kema, Daniela Casa o Binsy, fino ad arrivare a musiciste come Doris Norton che sul finire degli anni Settanta, primi Ottanta, ha lavorato anche come endorser e testimonial di marchi di sintetizzatori e nuove tecnologie musicali come Roland e Apple. Con il nostro Studio di Fonologia abbiamo poi accolto il primo brano elettronico di Hilda Dianda, compositrice argentina che molto farà per l’evoluzione della musica nuova del suo paese, soprattutto attraverso l’insegnamento e la creazione di seminari e corsi speciali in patria in anni politicamente molto .difficili. Peccato che non riusciamo (o non vogliamo?) valorizzare il contributo di queste donne, come invece fanno altri paesi con le loro pioniere».
Tornano le avveniristiche parole della Oliveros del 1970, riportate a fine libro: «Nikola Tesla predisse che le donne un giorno avrebbero rivelato il loro potenziale creativo, superando per un certo periodo gli uomini eccellendo in tutti i campi perché sono state troppo a lungo silenti. Certamente, i più grandi problemi della società contemporanea non saranno mai risolti senza un’atmosfera egualitaria che impieghi tutta l’energia creativa esistente, di uomini e donne».
FUORI I LIBRI
Oltre l’iniziativa veneziana, tra le maggiori a promuovere una storia dell’identità sonora femminile, attraverso un percorso definibile multimediale, vi sono almeno due settori – l’editoria libraria e la ricerca elettronica – ancora tutti da scoprire circa le quote rose. Infatti l’attenzione in Italia verso l’universo femminile musicale oggi può essere condensato in dieci libri usciti nell’ultimo decennio che, mediante scelte ed approcci tra loro anche molto diversi, riescono comunque a colmare una vistosa lacuna culturale. Nell’ambito della cosiddetta popular music Chiara Ferrari con Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi (Interno 4, 2021) offre un saggio esaustivo sulle protagoniste internazionali: da Almeida Riddle a Joan Baez, da Michelle Shocked a Miriam Makeba, da Juliette Gréco a Oum Kalthoum, da Amalia Rodriguez a Violeta Parra, senza dimenticare il contributo italiano – Caterina Bueno, Rosa Balistreri, Gabriella Ferri, Giovanna Daffini, Maria Monti, Giovanna Marini, Teresa De Sio, Ginevra Di Marco, Elsa Martin – si assiste nel secondo Novecento al recupero (o al rinnovamento) di tradizioni sonore che altrimenti sarebbero andate perdute. E il recupero avviene anche sul piano della ricerca sociologica, come mostra Angela Davis in Blues e femminismo nero (Alegre, 2022), tradotto a un quarto di secolo dall’originale, benché nulla intacchi l’attualità di un testo impegnato, mediante l’analisi di tre grandi jazz women quali Gertrude Ma Rainey, Bessie Smith e Billie Holiday, rilevando come i loro brani infrangano i rigidi tabù sulla rappresentazione della sessualità. Del resto, proprio le sonorità afroamericane femminili sono al centro di una piena rivalutazione da parte di giornalisti, critici, studiosi italiani a cominciare dalla dj Clarice Trombella che in Sacerdotesse, imperatrici e regine della musica (Becco Giallo, 2018) offre venti piacevoli biografie su cantanti e strumentiste fra gospel, swing, bebop, rock and roll che «hanno rivoluzionato la musica nel mondo»: interessanti le attenzioni soprattutto verso figure meno note da Melba Liston a Rebecca Lane, da Sonita Alizadeh a Wanda Jackson. Sulle donne jazz non mancano nemmeno i libri di interviste: Gerlando Gatto con L’altra metà del jazz (Kappa Vu, 2018) dialoga con vocalist e soliste soprattutto italiane, non senza qualche incursione all’estero (Dee Dee Bridgewater, Mary Halvorson, Myra Melford, Maria Schneider, Hiromi…; chi scrive dedica al panorama sia internazionale che francofono le antologie universitarie no-profit Jazz Is a Woman. 39 Interviews with Female Jazz Singers and Players (EduCatt, 2010) e France jazz féminin. 42 éntretiens avec les musiciennes (EduCatt, 2020) attraverso conversazioni raccolte in occasioni di festival o concerti: Helen Merrill, Esperanza Spalding, Cheryl Bentyne, Ute Lemper, Camille Bertault, Mina Agossi, Juliette Gréco fra i tanti incontri.
Sulla musica colta esistono anzitutto due contributi «dall’interno» sia pur di differente spessore: leggiadria e dannunziana, la direttrice d’orchestra Beatrice Venezi ne Le sorelle di Mozart (Utet, 2020) passa in rassegna le «storie di interpreti dimenticate, compositrici geniali e musiciste ribelli» da Callas a Björk attraverso Nadia Boulanger, Martha Argerich e altre nove.
Profonda e analitica la violista Anna Rollando con Le invisibili signore della musica (Graphofeel, 2021) parla di musica dal punto di vista femminile, in maniera appassionata e appassionante, concentrandosi su una storia millenaria che parte da Elisa e Hildegarda che arriva a Ethel Smyth, Florence Price, Germaine Taeillerre, per un totale di tredici biografie assai ben congegnate. Forse però la più corposa, a livello di ricognizione a tutto campo, resta Guida alle compositrici dal Rinascimento ai nostri giorni (Odoya, 2016) di Adriano Bassi, il quale, attraverso decine di schede in ordine cronologico, offre un quadro esaustivo (anche sotto l’aspetto biblio-discografico) completo altresì di interviste a compositrici quali Carla Magnan, Ada Gentile, Silvia Bianchera, Annie Fontana, Paola Livolsi, Dorothee Eberhardt.
Ma il testo forse più originale, fra questi dieci libri, risulta il saggio storico-critico di Johann Merrich dal titolo Breve storia della musica elettronica e delle sue protagoniste (Arcana, 2019) in cui si evince che le donne musiciste, per la prima volta, occupano un ruolo primario rispetto a una vulgata che le sottovalutano o addirittura le ignorano o rimuovono, come ribadito anche da Dratwicki. Per l’autrice, lei stessa musicista e discografica, il merito di tale (ri)-scoperta va condiviso: «Le mie ricerche – sostiene – si aggiungono a quelle di altre brave studiose statunitensi e inglesi. Ho incontrato i primi testi che si occupavano della storia di alcune compositrici impegnate nei linguaggi della musica elettroacustica ed elettronica una decina di anni fa: Pink Noises. Women on Electronic Music and Sound (2010) di Tara Rodgers è ormai un classico dei gender studies di questo settore, così come Women Composers and Music Technology in the United States (2009) di Elizabeth Hinkle-Turner. In Italia, più o meno nello stesso periodo, ha preso vita l’apprezzatissimo lavoro di Laura Zattra, che, in materia di elettronica, si occupa da sempre di Teresa Rampazzi, ma che è anche responsabile della riscoperta di compositrici classiche come Renata Zatti. A partire dal 2012, si sono aggiunte anche le interessantissime ricerche della britannica Frances Morgan. Ovviamente, questi non sono gli unici nomi – basti pensare, ad esempio, a un’altra importante connazionale, Claudia Attimonelli – ma per me rappresentano l’essenza delle migliori ricercatrici contemporanee».
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