L’Alligatore e la dura tenerezza dei disincantati
Noir «La banda degli amanti», il nuovo romanzo di Massimo Carlotto per e/o. Il ritorno dopo sei anni di assenza dell’Alligatore. La città che fa da sfondo alla storia è sempre Padova, dove tutto sembra rimasto uguale. Ma ci sono nuovi padroni, un milieu di politici corrotti e criminali che riciclano i loro soldi, facendo affari con gli imprenditori rispettabili. A contrastarli una banda di combattenti in lotta per salvare l’idea di un altro mondo possibile
Noir «La banda degli amanti», il nuovo romanzo di Massimo Carlotto per e/o. Il ritorno dopo sei anni di assenza dell’Alligatore. La città che fa da sfondo alla storia è sempre Padova, dove tutto sembra rimasto uguale. Ma ci sono nuovi padroni, un milieu di politici corrotti e criminali che riciclano i loro soldi, facendo affari con gli imprenditori rispettabili. A contrastarli una banda di combattenti in lotta per salvare l’idea di un altro mondo possibile
Sei anni di assenza, in giro per l’Europa, con la sua banda di sodali per fronteggiare una faida con la mafia serba. Tre uomini e alcuni cari e fidati amici che tessono le esili file di una banda coinvolta, suo malgrado, in una guerra malavitosa dai risvolti feroci e inquietanti. Una faida con un epilogo sanguinolento che aveva lasciato svuotati i «vincenti», cioè l’Alligatore, Beniamino Rossini e Max la memoria, i tre indimenticabili personaggi nati dalla tastiera di Massimo Carlotto.
Lo scrittore veneto, dopo che si è lasciato alle spalle la serie delle Vendicatrici, è tornato in libreria con un romanzo che ha, appunto, tra i protagonisti i tre uomini, con al centro l’Alligatore, l’investigatore senza licenza che ha animato molti suoi noir degli anni passati. L’avvio del romanzo – La banda degli amanti, e/o edizioni, pp. 195, euro 15 – è folgorante. In poche, misurate, ma avvincenti pagine viene descritta la fine della guerra malavitosa: la banda dei tre sopravvissuti e avversari della grande trasformazione della criminalità organizzata in industria sovranazionale si è sciolta.
Nel patto che li univa era inconcepibile la resa, ma anche la sconfitta. E in quello scontro non era accaduta né la resa, né la sconfitta. Era stata una vittoria che li aveva però annientati, almeno dal punto di vista psicologico.
La cupola del potere
L’Alligatore viene assoldato da una donna disposta a pagare tantissimo per avere notizie certe sull’amante scomparso mentre stava dirigendosi nella loro alcova di Padova, la città lasciata dall’investigatore senza licenza sei anni prima.
La città veneta è rimasta apparentemente uguale a quella abbandonata tempo prima. Soliti riti – lo spritz del tardo pomeriggio, le «vasche» fatte nella parte storica -, identica la rigida divisione di classe per alberghi e ristoranti, la sempreverde e volgare ostentazione della ricchezza. Sono però cambiati i padroni della città. La vecchia nomenclatura politica è stata rottamata per essere sostituita da «squali» che non provano neppure a salvare le apparenze: fanno parte di quel comitato d’affari che dirige il traffico dei soldi accumulati. Ma gli «schèi» che contano non hanno nulla a che spartire con i capannoni a conduzione familiare e con pochi dipendenti che, grazie al superlavoro e al supersfruttamento, conquistano fette del mercato mondiale; non hanno neanche a che fare con i ricchi che, annusata la possibile crisi, hanno delocalizzato nell’est europeo.
Tutto questo non è scomparso, ma la ricchezza prodotta da quella che veniva chiamata «Terza Italia» diminuisce progressivamente. Adesso gli affari che contano sono quelli delle grande opere, della finanza, dello smaltimento illegale dei rifiuti e hanno come protagonisti politici di ogni partito, professionisti che coprono ogni violazione della legge e la criminalità organizzata, cioè quelle imprese sovranazionali che varcano spavaldamente, e immuni da ogni repressione poliziesca, il confine tra legalità e illegalità: un confine divenuto una convenzione a cui appellarsi quando si è al ristorante o quando si parla in televisione, ma che viene ignorato nelle «faccende quotidiane».
L’Alligatore e i suoi compagni di banda non sono sorpresi da tutto ciò. Situazioni analoghe le hanno viste in altri paesi del vecchio continente, dalla Francia alla Germania. L’unica differenza, tra le nuove élite francesi, tedesche e italiane, è l’arroganza pubblica dei «nuovi padroni» del nord-est. Tutti e tre sono uomini che vengono da un passato morto e sepolto. Beniamino è un malavitoso old style. Può essere cattivissimo, ma ha un codice d’onore che gli impedisce di colpire gli inermi e i deboli. Un inconsapevole anarchico che quando commette un reato sceglie l’obiettivo in maniera tale che chi ci rimette deve essere ricco. È rispettato da altri fuorilegge, e dalla polizia, ma ormai non conta nulla nella malavita. L’Alligatore viene dagli anni Settanta, li ha attraversati simpatizzando con quelli che assaltavano il cielo, ma non è mai stato un militante. Max la Memoria, invece, militante lo è stato. Un pentito lo ha denunciato per cose che non ha fatto e che forse neppure condivideva. È stato esule, per tornare molti anni dopo, quando alcune delle accuse erano decadute e perché i suoi compagni non rischiavano più nulla. Non ha mai fatto nomi e per questo la galera l’ha comunque conosciuta. Sono tre amici che si coprono le spalle quando è necessario, che mai esercitano il giudizio sul comportamento degli altri due compagni di ventura. Il loro legame è forte; sono sì sopravvissuti, ma non esitano a combattere, anche se le ferite dell’anima diventeranno più numerose. Combattenti erano, combattenti rimangono, nonostante la sconfitta sia l’esito scontato in un mondo dove i criminali sono gli ospiti illustri dei salotti buoni del potere.
La verità rimossa
Il nemico che hanno di fronte è un «infame», un sadico che umilia i deboli, torturandoli, insultandoli; con le donne il sadismo è pratica corrente, perché il suo desiderio sessuale è appagato solo con la violenza e l’umiliazione delle vittime. Si è arricchito con la prostituzione, il ricatto, vendendo i suoi compagni di lotta (è stato un ribelle) e entrando nel giro che conta dei politici corrotti. Giorgio Pellegrini, questo il suo nome, è stato protagonista di due romanzi di Carlotto. Fare incontrare il personaggio simbolo dei nuovi malavitosi e l’Alligatore è stata una vera e propria mossa del cavallo. La banda degli amanti diventa così un romanzo corale, con la presenza di uno sbirro tanto onesto quanto emarginato dai suoi colleghi, «alleato» dell’Alligatore per sbrogliare una matassa inestricabile non per chissà quale mistero, ma per l’opacità della società contemporanea, dove tutto è noto, ma repentinamente rimosso in nome di chissà quale «interesse supremo».
Con questo romanzo Massimo Carlotto imprime una svolta «dura» alle sue storie. «Pietà l’è morta», scriveva un vecchio partigiano piemontese mentre combatteva i nazisti e i fascisti. Lo sanno però anche l’Alligatore, Beniamino e Max quando provano non a salvare il mondo, ma l’idea di un altro mondo possibile. E per questo, diceva un giovane, diventato un’icona pop suo malgrado, «bisogna essere duri senza perdere la propria tenerezza».
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