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L’allarme dei farmacisti: «Vengono da noi anche con la febbre»

L’allarme dei farmacisti: «Vengono da noi anche con la febbre»Farmacia – Ansa

La testimonianza «Non siamo tutelati, servono disposizioni stringenti. Ci chiedono consulenze ‘mediche’ che ovviamente non possiamo dare»

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 20 marzo 2020

Aumentano vertiginosamente le proteste dei farmacisti italiani che denunciano la mancanza di sicurezza nel proprio lavoro, relativamente all’emergenza Coronavirus. Insieme ai medici di base le farmacie sono l’avanguardia che fronteggia l’epidemia sul territorio, ma mentre per i primi l’accesso è stato ampiamente limitato, le seconde sono regolarmente aperte, con l’indicazione generica di andarci solo se necessario.

Il problema principale segnalato dalle croci verdi è che centinaia di farmacisti stanno lavorando senza presidi quali mascherine, guanti, disinfettanti, che in sostanza li obbliga a servire il pubblico senza poter rispettare le misure di sicurezza previste dalle stesse norme governative. Il 12 marzo Federfarma ha rivolto un appello al ministero della Salute dai toni piuttosto pacati, ma ci sono farmacie che minacciano addirittura di chiudere se non arriveranno i dispositivi, mentre a Bergamo c’è chi è già stato costretto a farlo perché tutti i farmacisti di uno stesso esercizio sono risultati positivi al Covid-19. Sono decine poi le farmacie che si lamentano della troppa disinformazione tra i cittadini, che affollano gli esercizi ignorando le norme di contenimento del contagio.

Abbiamo raccolto la testimonianza di Nicoletta, 40 anni, nome di fantasia di una farmacista dipendente in un noto esercizio di Verona. Nella città scaligera, in base alle ultime misure previste dalla Regione Veneto, che probabilmente saranno seguite anche da Emilia Romagna e Toscana, tutti gli operatori sanitari, farmacisti compresi, saranno sottoposti a tampone per Covid-19. «È una novità importante ma se poi le mascherine che indossiamo non sono adeguate, anche se risultassimo tutti negativi, il giorno dopo saremmo punto e a capo – dice Nicoletta – Queste ultime disposizioni, come le precedenti, non mi sembrano adeguate alla situazione, perché non tutelano né la salute del pubblico né la nostra. Prima di tutto non tengono conto della mancanza cronica dei dispositivi di sicurezza, come guanti, mascherine e disinfettanti, inoltre non prevedono che vengano messi in quarantena i farmacisti che sono entrati in contatto con un contagiato. Bisogna giustamente continuare a garantire il servizio, con l’unica raccomandazione di usare scrupolosamente i dispositivi di sicurezza che però non ci sono».

«A tutto questo si aggiunge il comportamento del pubblico, che spesso è irresponsabile. Moltissime persone continuano a considerare le farmacie dei luoghi esenti dalle direttive del governo, che com’è noto impongono di uscire solo per comprovate necessità. Tanti invece vengono da noi senza ricette, anche due volte nello stesso giorno e spesso vengono in gruppo. Le richieste sono le più disparate. Alcuni hanno paura di essere contagiati, lamentano sintomi influenzali, in alcuni casi addirittura la febbre, e vengono a chiedere consulenze ‘mediche’ che ovviamente non possiamo dare. Altri continuano come se niente fosse a venire per chiedere prodotti di bellezza, fanghi, creme, oppure farmaci omeopatici», prosegue.

Il problema, spiega ancora, è che «nessun organo di informazione né le stesse istituzioni hanno detto cose perentorie sulle farmacie. Anche per noi vale il discorso che non c’è alcuna carestia e che quindi non bisogna affollare gli esercizi senza motivo. Noi rimaniamo giustamente aperti per garantire un servizio essenziale, che però in questo momento non può assolutamente includere l’acquisto di cose diverse da dispositivi o medicinali salvavita. Bisogna ribadire fortemente questo concetto».

Le organizzazione di categoria stanno facendo qualcosa? «C’è stata una presa di posizione dell’Ordine dei Farmacisti – dice Nicoletta – che però non ha avuto abbastanza eco, per chiedere misure di prevenzione impossibili da attuare nella realtà, a partire dalla distanza di almeno un metro da garantirsi anche tra colleghi. I vertici di categoria dovrebbero chiedere a gran voce la regolamentazione del flusso del pubblico attraverso una nota ufficiale. Non si può neanche risolvere la questione decretando il lavoro a battenti chiusi, poiché la maggior parte delle farmacie non è architettonicamente strutturata. Il punto fondamentale dev’essere quello di ribadire le regole base per recarsi da noi: un solo componente per famiglia, non venire se si hanno febbre o altri sintomi riconducibili al virus, aspettare fuori che si liberi il banco».

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