L’alfabeto sonoro e multimediale dei Matmos
Musica A Time Zones il combo californiano adatta - con genio - l’opera «Perfect Lives» di Robert Ashley per voce narrante, coro, pianoforte, quartetto d'archi, flauto, chitarra, percussioni ed elettronica
Musica A Time Zones il combo californiano adatta - con genio - l’opera «Perfect Lives» di Robert Ashley per voce narrante, coro, pianoforte, quartetto d'archi, flauto, chitarra, percussioni ed elettronica
Un intellettuale leonardesco come Robert Ashley, non poteva non porsi il problema del rapporto tra teatro e tv, musica e sigle di programmi seriali, collocazione della creatività nella letteratura di genere. È anche per questo che è nata un’opera per la tv come Perfect Lives, dipanatasi nella sua elaborazione dal 1978 al 1983, considerata un esempio precorritore del concetto di music tv e chiamata a narrare una storia ambientata nel Midwest statunitense tra stanze di motel, pianobar e una misteriosa rapina filosofica in banca.
Figura preminente della musica contemporanea americana, scomparso due anni fa, Robert Ashley ha sempre spinto i suoi progetti multidisciplinari ad incrociare nuove forme d’arte. Le sue opere registrate sono riconosciute come veri classici della lingua e dello slang in ambiente musicale ed era naturale che una di queste, forse la più significativa da questo punto di vista, si incrociasse (com’è avvenuto a Bari all’interno del cartellone del XXXI Time Zones festival) con la fantasia curiosa di Martin C Schmidt e Drew Daniel, ovvero dei Matmos. Anche i californiani Matmos hanno sempre avuto il dono di perlustrare il presente, decontestualizzare tutto ciò che li circondava, trasformarlo in alchimie sonore e inserirlo nel loro frullatore timbrico. D’altra parte l’elettronica dei Matmos è stata sempre erudita e innovatrice, diversa da qualsiasi altra. Qualche esempio? Quando l’industria musicale si iperspecializzava loro hanno sviluppato progetti che dovevano tanto a Olivier Messiaen e Karl-Heinz Stockahausen quanto alla pop music; quando il mondo impazziva per il beat caldissimo della drum’n’bass loro si sono dedicati alla ripresa sonora della carne in decomposizione; quando tutti hanno cominciato a recuperare gli anni ’80, Martin C Schmidt e Drew
Daniel hanno preferito riabilitare la viella e altri strumenti medievali per codificare una musica che si muovesse in una diversa prospettiva storica e rileggesse non solo il medioevo inglese, ma anche il XIX secolo americano. Fino ad ora i Matmos hanno giocato abilmente con l’adrenalina di queste imprese e il progetto portato all’AncheCinema Royal di Bari e dedicato ad Ashley, del quale si sono sempre ritenuti estimatori appassionati, ha certificato quest’attitudine.
La serata si è aperta con le nuvole borbottanti di Marco Malasomma, producer pugliese, che si è piazzato sul palco in completa solitudine e ha agitato i suoi droni sonori come se avesse a che fare con tornadi che si avvicinavano al Midwest di Ashley. Sipario e poi è partito il primo dei tre set coi Matmos. L’organico di Perfect Lives nella trascrizione matmosiana, prevedeva una voce narrante, coro, pianoforte, quartetto d’archi, flauto, chitarra, percussioni ed elettronica e i Matmos ne interpretavano alcuni atti in tre differenti setting musicali. Il primo, The Park, si è aperto con un tipico loop ritmico del duo lanciato da Drew Daniel e con Caroline Marcantoni e Jen Kirby, due attrici, a far da controcanto, come una specie di coro greco e come da partitura ashleyana, che hanno iniziato a recitare i loro testi all’unisono. Il flauto di Mattia Vlad Morleo, il quartetto d’archi assemblato per l’occasione e i video (visioni bucoliche con inserti grafici) gestiti da Max Eilba. «Un’opera comica sul tema della reincarnazione», così ha definito Ashley lo script di Perfect Lives.
A Bari è sembrato anche una parodia di vicende catodiche e del loro vano articolarsi su duplici piani: quello «apparente», che vedeva lo svolgersi di una trama dai toni surreali nella quale agivano bizzarri personaggi che rappresentavano altrettanti stereotipi della vita nella provincia americana, e quello più profondo che emergeva continuamente nei lunghi soliloqui del narratore. Nel secondo set The Bar è entrato in gioco, lo stride piano di Walker Teret, mentre nel terzo The Backyard, il duo californiano ha scelto infine di presentarsi in duo, con Schmidt ad armeggiare su una chitarra slide. Alla fine un’opera che, secondo le indicazioni dell’autore «riproduce la musica del modo in cui la gente parla. Non è poesia, è una canzone» è stata riportata alla sua attualità di cinica escursione iperreale e i Matmos hanno dimostrato di essere un combo creativo che poteva credibilmente rivisitarne lo «spartito». Time Zones prosegue fino al 18 novembre.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento