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L’agroecologia di Terra Madre batte l’«agromimetica» del G7

L’agroecologia di Terra Madre batte l’«agromimetica» del G7

Slow food A Torino si sono riunite diverse organizzazioni internazionali che guardano all’agroecologia per la costruzione di politiche, di sviluppo territoriale e di relazione con le comunità di agricoltori

Pubblicato 13 giorni faEdizione del 3 ottobre 2024

Ci si aspettava certamente che le conclusioni della riunione sull’agricoltura del mondo che si è consumata a Siracusa sarebbero state generiche e poco incisive. Era atteso, soprattutto in considerazione dell’agenda del G7 e delle anticipazioni che erano state rese pubbliche.

Mettere insieme buoni ingredienti non significa necessariamente cucinare ottime pietanze. Mettere insieme parole di auspicio non significa necessariamente saper costruire percorsi virtuosi. Ignorare una condizione ecologica fortemente critica significa sostanzialmente ignorare la fragilità di un modello agricolo che in queste condizioni trova sempre maggiore difficoltà a barcamenarsi.

Affidare tutto alla tecnologia e alla innovazione significa voler rimandare le scelte coraggiose ai posteri, ammesso che ne avranno ancora il tempo, e voler consegnare il settore agroalimentare sempre più all’industria. Soprattutto quando la tecnologia non si rivela in realtà amica dell’ambiente e non è comunque amica di un sistema agricolo più virtuoso.

È quindi una questione di coraggio, nell’analisi del contesto e nelle scelte che ne devono conseguire. È una questione di coerenza tra ciò che si dice di fronte a ogni disastro ambientale, ormai evidentemente slegato dalla causalità, e le azioni pratiche, concrete e reali, che ne derivano, al netto ovviamente dei ristori e degli interventi di risanamento.

L’Unione europea, ad esempio, non ha perso l’occasione per abbassare i target agroambientali della Pac e ha pensato bene di rafforzare il fondo straordinario per i disastri e le calamità, quasi a gettare la spugna e riconoscere che è meglio pagare danni che far di tutto per evitarli. Quel coraggio e quella coerenza, però, non sono mancati, proprio negli stessi giorni di Ortigia, alla grande comunità di Terra Madre radunata a Torino grazie a un dibattito animato da oltre tremila delegati provenienti da 120 Paesi del mondo, più di 700 relatori di ogni estrazione, accademica, scientifica, della società civile e delle organizzazioni non governative.

La parola che emerge dal confronto rimane l’agroecologia, attraverso un’esigenza di transizione ormai ineluttabile. È emerso con chiarezza che l’avvio di processi di rigenerazione dei suoli, di conservazione delle risorse idriche e degli ecosistemi sta alla base di una visione di conversione del paradigma produttivo che deve mantenere una visione di lungo periodo.

A Torino si sono riunite diverse organizzazioni internazionali che guardano all’agroecologia per la costruzione di politiche, di sviluppo territoriale e di relazione con le comunità di agricoltori. Far pace con la natura e con la terra è il primo passo per guardare con coraggio e coerenza al futuro, per guardare a un mondo che sia, prima di ogni cosa, giusto. Ed è, evidentemente, un percorso di giustizia. Giustizia ambientale, di fronte a un susseguirsi di tragedie che colpiscono molto spesso i sistemi agricoli più fragili.

Le inondazioni che ritornano con temibile frequenza, la siccità che sta desertificando aree storicamente fertili dove anche gli amministratori sono spesso lasciati soli. È una questione di giustizia sociale che deve saper riconoscere le migrazioni come effetto di una battaglia impari contro la crisi climatica che attanaglia le aree più povere del globo, esattamente come le guerre. È una questione di giustizia economica, quella che in Italia avevano chiesto gli agricoltori scesi in piazza poi messi strumentalmente contro gli ambientalisti e davanti a provvedimenti certamente non risolutivi.

È il dialogo su questi temi che può davvero restituire la speranza mentre l’idea che due mondi del confronto viaggino in modo parallelo e, molto spesso, divergente, rafforza il pessimismo e richiede un continuo impegno civile affinché l’oblio non abbia il sopravvento. Solo la consapevolezza che assegnare al cibo la sua centralità può in qualche modo permettere di costruire un mosaico equilibrato capace di sorridere al futuro, in cui ciascuno possa contribuire a mettere una propria tessera compatibile con le altre.

È probabilmente corretto che i grandi Paesi della terra si incontrino e discutano per aree tematiche. Sarebbe forse bene che lo facessero anche ascoltando la voce di chi sta sul campo, di chi prova a resistere, di chi ama la terra e il cibo che produce, di chi sa che solo se si contribuisce alla salute della terra si imparerà anche a nutrire il pianeta e non a sfamarlo.

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