Guatemala, l’adolescenza bruciata viva
8 marzo Oggi una intera giornata, con manifestazioni e un festival, dedicata al ricordo delle ragazze morte nel fuoco della casa protetta statale Virgen de la Asunciòn. Avevano tentato la fuga dopo abusi sessuali, ma una volta riprese vennero rinchiuse in un padiglione per punizione e poi divorate da un incendio
8 marzo Oggi una intera giornata, con manifestazioni e un festival, dedicata al ricordo delle ragazze morte nel fuoco della casa protetta statale Virgen de la Asunciòn. Avevano tentato la fuga dopo abusi sessuali, ma una volta riprese vennero rinchiuse in un padiglione per punizione e poi divorate da un incendio
Nella piazza centrale di Città del Guatemala, tra il Palazzo Presidenziale e la Cattedrale, 41 croci ricordano la morte di altrettante ragazze tra i tredici e diciassette anni, avvenuta l’8 di marzo del 2017, dentro le mura e il filo spinato del Hogar Seguro Virgen de la Asunciòn, una casa di accoglienza statale per adolescenti orfani o con famiglie complicate.
Una struttura, situata nel municipio di San José Pinula, a una trentina di chilometri della capitale, adibita all’accoglienza di cinquecento giovani di entrambi i sessi, ma che al momento dei fatti ne ospitava 700 e dove le adolescenti avevano ripetutamente denunciato abusi e violenze sessuali
L’8 DI MARZO di tre anni fa le ragazze hanno deciso di ribellarsi alla sistematica violazione dei propri corpi e della propria dignità e hanno tentato di fuggire dalla struttura, disperdendosi nei boschi adiacenti. La polizia nazionale è intervenuta e ha riportato le «evase» dentro l’«Hogar Seguro» (Casa sicura). Qui, il personale ha preso la decisione di chiudere le fuggitive a chiave dentro un padiglione dell’area per reprimere il moto di ribellione e castigarle. In quello stesso padiglione è scaturito un incendio e 41 adolescenti sono morte bruciate o asfissiate: solo 15 sono sopravvissute, con traumi fisici e psicologici significativi.
Così, l’8 di ogni mese la Red de Sanadoras Ancestrales del Feminismo Comunitario Teritorial, un collettivo di attiviste maya che difendono il territorio e il corpo delle donne, si riunisce dentro il cerchio formato dalle croci nella piazza centrale di Città del Guatemala per rendere omaggio con una cerimonia a quelle adolescenti e rimarcare che non è stato un incendio ad ucciderle ma la violenza strutturale del patriarcato e la complicità delle istituzioni dello Stato. «No fue el fuego, fue el Estado» (non è stato il fuoco, ma lo Stato).
A tre anni di distanza dai fatti, la memoria di un evento tanto violento è ancora viva e la manifestazione dell’8 di marzo di quest’anno lo dimostra. Da parte della società civile e delle organizzazioni di base, l’attenzione per il caso Hogar Seguro è alta e la Internacional Feminista Guatemala ha invitato tutte coloro che si uniranno alla marcia a portare con sé un girasole «per non dimenticare le 56 bambine e le migliaia di donne assassinate in Guatemala».
LA MANIFESTAZIONE passerà simbolicamente per la Corte Suprema di Giustizia per sfociare nella piazza centrale, rinominata «Plaza de las ninas», ricordando con la classica cerimonia mensile le adolescenti per poi trasformarsi in un Festival di musica, poesia e arte. In chiusura della giornata, si esibirà l’artista, femminista e anarchica, Rebeca Lane, da anni impegnata in un lavoro di recupero della memoria storica e e per riconsegnare visibilità delle lotte sociali attraverso l’arte.
Uno degli avvocati che porta avanti il caso, Esteban Celada, del pool legale dell’organizzazione Mujeres Transformando el Mundo (Mtm) dal 2018 a oggi ha ricevuto più di 31 minacce, telefonate anonime, misure di vigilanza ed è stato vittima di perquisizioni illegali. Celada, in più occasioni, ha evidenziato come il protrarsi da tre anni a questa parte dei dibattiti processuali, dovuti al rinvio delle udienze e alle defezioni degli avvocati della difesa, faccia parte di una strategia sistematica per ritardare il verdetto e rendere di nuovo vittime le adolescenti.
Tra gli accusati figurano, divisi in tre gruppi distinti: i vertici e la direzione della «Casa sicura», tra cui l’ex sottosegretaria della Segreteria del Benessere Sociale (Sbs), l’ex segretario e l’ex direttore della struttura; i rappresentanti delle istituzioni statali che avrebbero dovuto vegliare sulla sicurezza e quindi la Procura dell’infanzia e dell’adolescenza, la Procura per i diritti umani, la Sezione dell’Hogar Seguro di Protezione speciale contro gli abusi e la polizia nazionale; gli operatori legali e sociali, tra cui la Giudice di pace, la supervisora del centro e la ex coordinatora della sezione della «Casa Sicura» dove sono state rinchiuse le adolescenti.
ALLE DISTORSIONI e ai ritardi del sistema di giustizia si somma la giustificazione della repressione violenta e la colpevolizzazione delle ragazze, accusate dagli avvocati della difesa di essere adolescenti disagiate e fuori controllo, povere e senza prospettive, abbandonate dalle famiglie perché pericolose per l’ordine pubblico e quindi potenziali delinquenti. In ottobre, i familiari delle vittime hanno denunciato pubblicamente l’apertura delle indagini contro le adolescenti sopravvissute, ree di aver appiccato il fuoco e provocato l’assassinio delle compagne. Il 14 febbraio la Corte Costituzionale ha respinto la richiesta della difesa che chiedeva l’esclusione dal processo delle testimonianze di 7 delle 15 adolescenti sopravvissute, le quali finalmente nel prossimo dibattito processuale potranno avere voce e raccontare la loro versione dei fatti di quell’8 marzo 2017, e informare sugli antecedenti e sulle condizioni di vita all’interno della struttura che avrebbe dovuto proteggerle e garantire loro una formazione libera dalla violenza.
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