Da quando Erwin Panofsky, storico dell’arte ebreo tedesco rifugiato in America nel 1933, dedicò un saggio memorabile a Iconografia e iconologia (anche se i termini si usavano già), un nuovo modo di guardare e analizzare l’arte si è sviluppato, promuovendo un rinnovamento degli studi ormai canonizzato eppure non ancora penetrato nel senso comune. L’iconografia come tecnica di identificazione dei soggetti rappresentati domina ampiamente la scena, pur lontana dall’esaurire i suoi compiti, mentre l’iconologia, come ricerca sul significato culturale, sul contesto sociale, sulle motivazioni e le interpretazioni profonde di un soggetto artistico è ancora lasciata all’iniziativa di pochi esploratori, tenuti a conoscere, oltre alla storia dell’arte, la storia delle istituzioni, della società, dei territori e dei paesaggi, la documentazione d’archivio, i testi letterari e non, le simbologie teologiche, i linguaggi storici, i linguaggi gestuali: tutto ciò che oggi confluisce nella cosiddetta ricerca intermediale e che resta necessario per ricostruire il senso di un’opera senza limitarsi da una parte a misure, materiali e contratti e dall’altra a valutazioni stilistiche, pur fondamentali.

In Italia Chiara Frugoni – scomparsa qualche mese fa – è stata la punta di diamante dell’iconologia relativa all’arte medievale, che costituisce una parte amplissima del patrimonio artistico europeo. Secondo la Frugoni «le immagini (…) non vanno mai scisse dalle fonti scritte coeve, ma intese assieme a queste come due fonti di pari statuto in una reciproca interazione; la separazione di figura e parola è una mutilazione rispetto alla ricostruzione storica di una realtà in cui esse erano naturalmente fuse, nella coscienza di quegli uomini e nel quotidiano scorrere di quelle vite che si vogliono ridestare».

Questo approccio innovativo era empiricamente già applicato, anche se non ancora teorizzato, nel suo articolo Il tema dei tre vivi e dei tre morti nella tradizione medievale italiana, pubblicato nel 1964 a soli ventiquattro anni e ancora oggi fondamentale per la comprensione di una leggenda di ardua ricostruzione che ispirò celebri rappresentazioni figurative: fra altre, a Subiaco, a Clusone e nel Camposanto di Pisa, la città dove Chiara proseguì i suoi studi, alla Scuola Normale, e dove poi esercitò a lungo il suo insegnamento universitario. Il metodo consiste nel «leggere» le immagini comparativamente, per serie tematiche e diacroniche, interrogandosi sulla comunicazione che non solo il disegno generale ma ogni singola scelta cromatica o dettaglio materiale intende offrire, e che acquista senso solo attraverso una fitta rete di letture di testi, soprattutto latini, che di quelle immagini sono la fonte diretta, l’ispirazione, la chiave interpretativa, la documentazione storica, o il commento spirituale.

La sua capacità di scandagliare le fonti e farle convergere su un significato unitario la metteva in grado di illustrare questo itinerario ermeneutico con elegante chiarezza, semplificandone l’accesso a un pubblico diventato sempre più ampio via via che le sue celebri strenne del Mulino conquistavano lettori e che le sue conferenze pubbliche, alcune delle quali registrate su video Youtube con decine di migliaia di contatti, attiravano folle di ascoltatori, pur senza mai venir meno alla necessità di dialogare con la letteratura specialistica e di individuare con rigore le fonti consultandone le edizioni migliori o, se inedite, i manoscritti. Con questa attenta ma inesausta curiosità e questa acutezza di sguardo la Frugoni si è resa protagonista di scoperte di larga risonanza, come la dimostrazione che la presenza e conformazione delle stimmate nelle rappresentazioni di san Francesco variarono a seconda degli indirizzi politici dei Minori e dei loro riflessi teologici, dall’impostazione più pauperistica ispirata alle biografie di Tommaso da Celano a quella più istituzionale vicina alla Legenda di Bonaventura: su questo tema la medievista è tornata più volte, ma la punta più cospicua rimane Francesco e l’invenzione delle stimmate. Una storia per parole e immagini fino a Bonaventura e Giotto (Einaudi 1993), che suscitò sensazione, ammirazione e scandalo, a seconda degli ambienti, perché relativizzava e storicizzava un’icona vera e propria del panorama religioso italiano e un oggetto di fede.

Alcuni elementi degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti al Palazzo del Comune di Siena, mai notati da nessuno o al contrario discussi tanto accanitamente quanto inutilmente prima di lei, trovano in Paradiso vista Inferno. Buon Governo e Tirannide nel Medioevo di Ambrogio Lorenzetti (il Mulino 2019) una soluzione decisiva e convincente. Altrettanto innovativo, sotto la veste del solito libro sui bestiari, è stato a nostro avviso Uomini e animali nel Medioevo. Storie fantastiche e feroci (il Mulino 2018), che fra gli animali sceglie il lupo di Gubbio, fra gli uomini le storie multiple, stratificate e teologicamente complesse di Adamo ed Eva nelle interpretazioni esegetiche e figurative dei diversi commenti biblici medievali, ma dedica la sezione più riuscita alla celebre mappa di Ebstorf del 1230, il mappamondo di circa 3,5 metri di diametro che costituisce il caleidoscopio geografico più affascinante del Medioevo, oggetto a lei congeniale perché composto di testi (latini) e raffigurazioni di mirabilia in stretta correlazione e immediata contiguità.

Chiara Frugoni è stata anche fra i primi a divulgare magistralmente in Italia la semiotica dei gesti, sulla scorta del francese Jean-Claude Schmitt, e la rappresentazione della voce, anche qui seguendo ispirazioni promosse dalla storiografia delle Annales e da storici della letteratura romanza come Paul Zumthor. L’industria editoriale ha contribuito intensamente e regolarmente a sollecitare e promuovere i suoi lavori, tanto più fruibili e attraenti quanto più accessibile ed economica è diventata la stampa a colori, che solo da pochi anni consente di pubblicare a basso costo in uno stesso volume centinaia di illustrazioni policrome e che i suoi libri usavano spesso per riprodurre miniature altrimenti quasi irreperibili: ricordiamo che una parte ingente ma nascosta del patrimonio artistico medievale è conservata nei manoscritti, che non si trovano nei musei e non si possono vedere – se non nell’unica pagina aperta al pubblico – visitando le esposizioni. Ogni tanto la sua popolarità l’ha impegnata su temi molto attesi e più convenzionali. Così Paure medievali (2020) e ora, uscito postumo sempre per il Mulino, A letto nel Medioevo Come e con chi (pp. 165, euro 22,00): volumetto giocoso, pubblicato senza un profilo dell’autrice e senza la sua abituale prefazione, dunque forse non finito, eppure degno di attenzione come alcuni celebri non-finiti della storia dell’arte.

Qui la Frugoni esplora le rappresentazioni del letto in miniature, affreschi e tavole di età soprattutto basso-medievale (cioè dopo il 1200), sulla scorta non tanto di documenti, cronache e trattati (ma è presente l’enciclopedia di Bartolomeo Anglico), quanto di narrazioni letterarie come La fleur des histoires di Jean Mansel (1400-’74 circa) e il suo predecessore Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais (1190-1264), le storie di Merlino nelle versioni antico-francesi, le novelle di Sacchetti e il Decamerone di Boccaccio, usati forse con qualche benevolenza come fonti dirette di storia sociale; ma anche immagini dal registro dei tappezzieri di Bologna o dagli affreschi della Stanza della Castellana di Palazzo Davanzati a Firenze. L’amore del lettore porta talora a qualche semplificazione sui temi religiosi: se san Girolamo scrive che è adultero chi ama troppo ardentemente la moglie, la Frugoni interpreta che secondo «la Chiesa» (entità indefinibile alla cui genericità sembra che nessun medievista riesca a sottrarsi) questo significa che l’amante non doveva provare piacere, il che è smentito dal passo di papa Gregorio Magno citato subito dopo: «l’unione carnale non può avere luogo senza piacere». Il libretto non rinuncia dunque all’intrattenimento, ma a questa facilità arriva grazie una ricerca capillare di testimonianze rare che ci guidano fra i diversi tipi di giaciglio, dal pagliericcio del monaco al letto con baldacchino dei signori o dei mercanti, dal lettone con banco dei pasti per una puerpera (di solito Anna, la madre di Maria) a quello multiplo delle locande e delle novelle più salaci, da quello a rotelle modernamente incastonato sotto un altro letto a quello tipicamente italiano con mensola e testata ricurva, da quello d’amore a quello di giustizia. Un viaggio nel luogo più sacro e più vissuto della casa medievale come forse era, certo come viene rappresentata e raccontata, e come spesso ha continuato a essere fino a pochi decenni fa, confermando che spesso ciò che attribuiamo al medioevo non è che il nostro passato prossimo: e possiamo immaginarlo grazie alle ricerche iconotestuali che nessuno ha saputo offrirci come Chiara Frugoni.