Nella sala capitolare dell’ex-abbazia cistercense di Maubuisson immersa nell’oscurità, i riflessi bluastri di un acquario illuminano le colonne e le volte del soffitto. Masse et martyr è il titolo dell’installazione realizzata da Hicham Berrada in occasione della sua mostra personale, 74803 jours.

All’interno dell’acquario non sguazzano organismi marini ma sono immerse due sculture astratte in bronzo, realizzate con la tecnica della fusione a cera persa. Esposte all’elemento liquido, sono sottoposte altresì a una lenta corrosione, causata da un bagno di elettrolisi che finisce per alternarne l’aspetto.

Il bronzo si modifica nell’arco dei sei mesi in cui 74803 jours è visitabile (una o più volte), tra ottobre 2017 e giugno 2018. Il titolo della mostra, corrispondente a oltre duecento anni, si riferisce al tempo necessario alle sculture per subire le stesse modifiche all’aria aperta, senza l’intervento artistico. Tuttavia, nel processo di scambio di elettroni da una scultura all’altra, diverso è il loro destino: giorno dopo giorno, inesorabilmente, Martirio si decompone mentre Massa si rigenera all’infinito.

Come precisa Berrada: «Molto lentamente, riccioli di fumo si staccano da un bronzo, vanno alla deriva nell’acqua con un effetto nebbia e rivestono l’altro bronzo con una copertura lanuginosa, prima di formare un tappeto nuvoloso sul fondo della vasca».

Se l’accelerazione temporale è artificiale, il processo riprodotto – lo spettacolo delle molteplici trasformazioni delle sculture visibili attraverso le pareti di vetro – è naturalmente legato all’entropia.

La natura di Berrada è chimicamente o meccanicamente generata, o perlomeno indotta demiurgicamente dall’artista a generare, a creare o a naturare, insomma, come dice senza mezzi termini: «Aiuto la natura a fare cose che sa fare, ma che fa raramente».

Artista-alchimista, Berrada trasforma l’atelier in un laboratorio di ricerca e le arti visive in un terreno di sperimentazione di protocolli scientifici. Interessato, tra l’altro, alla chimica, alla fisica dei fluidi e alle nanoscienze, manipola sostanze diverse e lavora direttamente coi processi naturali e le condizioni climatiche, con l’energia e la temporalità.

Se la sua è un’arte processuale (come suggerito dal titolo della mostra), non lo è nel senso della storia dell’arte degli anni settanta ma nel senso della chimica, dove il processo è una reazione che trasforma la materia. In quest’occasione lavora sull’acquario e sull’immaginario generato dal paesaggio marino, così diffuso che, a partire dagli anni ottanta, si è propagata una tendenza artistica a cavallo tra acquario e arte dei giardini denominata aquascaping (tra cui va ricordato almeno il giapponese Takashi Amano, scomparso nel 2015).

La sostanza dell’acqua è così mutevole che, a seconda della luce, appare torbida o cristallina, diafana o trasparente al punto da rendersi invisibile. Trasforma qualsiasi cosa viene immersa al suo interno, che sia una colonia di organismi acquatici o un paio di sculture. Stando a Masse et martyr e ad altre opere simili a partire da Pierre Huyghe (difficile non menzionarlo in tale contesto), potremmo parlare di «acquario mentale», citando una poesia del simbolista belga Georges Rodenbach datata 1896, ovvero quasi mezzo secolo dopo l’invenzione dell’acquario.

Masse et martyr è la spia dell’interesse crescente degli artisti per i dispositivi di visione e d’esposizione museale simili al diorama come l’acquario in quanto Wunderkammer o fantasmagoria scientifica, in quanto machinerie teatrale. Che sia composto da organismi viventi o meno, non ha smesso di meravigliarci col suo ecosistema sommerso.