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Lacan, esposti allo sguardo delle opere

Lacan, esposti allo sguardo delle opereMaria Martins, "The Impossible III", 1946, New York, MoMA

Al Pompidou-Metz "Lacan, l’exposition. Quand l’art rencontre la psychanalyse", a cura di Marie-Laure Bernadec e Bernard Marcadé. Dal "Narciso" di Caravaggio a "L'Origine du monde" di Courbet, da Masson a Maria Martins, un tragitto riconducibile a un lemmario con nomi di artisti e scrittori, titoli di opere, termini filosofici e psicoanalitici, tra cui alcune delle alterazioni lessicali di Jacques Lacan

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 4 febbraio 2024

«E’ evidentemente per il fatto che il vero non è tanto grazioso da vedere, che il bello ne è, se non lo splendore, perlomeno la copertura». Tra i molti passaggi del pensiero di Jacques Lacan che potrebbero essere posti come insegna della mostra che il Centre Pompidou di Metz dedica (fino al 27 maggio) ai suoi incontri con l’arte, scegliamo questa riflessione, tratta da Il seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi del 1959-’60 (nella traduzione di Antonio Di Ciaccia), a patto che l’accento cada non sull’antitesi tra vero e bello, ma sull’atto del coprire, o meglio sulla tensione continua tra il movimento del velare e quello dello svelare.

Il titolo della mostra – Lacan, l’exposition – è solo all’apparenza un truismo: il rischio affrontato nell’idearla si colloca precisamente nella funzione dell’esporre, dell’accostare nello spazio lo sguardo delle opere e la voce dell’analista, cui i visitatori sono a loro volta esposti lungo tutto il percorso. Si tratta, e non potrebbe essere altrimenti, di un tragitto dendritico, organizzato per nuclei tematici riconducibili a un lemmario, ricomposto in catalogo, che accoglie nomi di artisti e scrittori, titoli di opere, termini filosofici e psicoanalitici, tra cui molte delle alterazioni lessicali lacaniane. Valgano come esempio le sequenze riunite sotto le lettere «C»: Cahun, Claude; Chute; Cinéma; Clérambault; Cogito; Contemporain (art); Corps morcelé; Coyote; e «L»: (La) femme; Lalangue; L’amur; Leiris, Michel; Lequeu, Jean Jacques; Lévi-Strauss, Claude; Lituraterre; Lublin, Lea; Lumière. Folto e composito è anche il gruppo di ricercatori e autori che hanno realizzato il progetto, coordinato da due storici dell’arte, Marie-Laure Bérnadac e Bernard Marcadé, da un’artista e psicoanalista, Paz Corona, e da uno psicoanalista interessato alla storia e alla teoria dello sguardo, Gérard Wajcman.

Gisèle Freund, Jacques Lacan alla Sorbona nel 1975, Saint-Germain-la-Blanche-Herbe, IMEC. FND47-1085-1-2.

Tra opere e documenti, la mostra (sottotitolo: Quand l’art rencontre la psychanalyse) consente di ritrovare il filo della cronologia e di ricostruire una sequenza di incontri decisivi per il maturare e il perdurare in Lacan dell’interesse per l’arte e la letteratura contemporanee. Nel 1918, diciassettenne, inizia a frequentare la libreria parigina La Maison des Amis des livres in rue de l’Odéon, che era punto di ritrovo, tra gli altri, di Breton e Aragon. Qui conosce Joyce e, nel 1921, ascolta una prima lettura dell’Ulisse. La lunga frequentazione della scrittura joyciana, in cui significante e significato si scompongono e si ingarbugliano, in cui il significante arriva a «truffer», a infarcire di sé il significato, riemerge, a metà degli anni settanta, nei Seminari XX e XXIII, consentendo a Lacan di dichiarare che il carattere enigmatico dei significanti in Finnegans Wake è ciò che più si avvicina a uno dei nodi centrali del discorso analitico, il lapsus.

Tra fine anni venti e inizio trenta i rapporti con la cerchia surrealista si fanno più stretti. Nel 1933 la rivista «Le Phare de Neuilly» pubblica l’unico testo poetico di Lacan, Hiatus Irrationalis, affiancandolo a una fotografia di Brassaï, Lumière de nuit, scatto ravvicinato della fiamma di una candela. Nello stesso anno, il primo numero di «Minotaure» accoglie sia l’articolo di Dalì che propone l’analisi dei meccanismi del fenomeno paranoico dal punto di vista surrealista, sia un estratto della tesi di dottorato di Lacan, incentrata sullo studio della psicosi paranoica, di cui l’artista spagnolo aveva ricevuto una copia accompagnata da una dedica non rituale: «A Salvador Dalì che mi aiuta a conoscere ciò che ho definito». Se per Dalì l’attitudine paranoica, come aveva scritto già nel 1930 ne L’Âne pourri, tende a «sistematizzare la confusione e a contribuire al discredito totale del mondo reale», essa – e qui è il punto d’incontro con le riflessioni di Lacan a quella data – è anche soggetta a una logica interna associativa e trasmissibile.

Lungo quel decennio nascono e si consolidano i rapporti con Merleau-Ponty, Bataille, Masson, e con Sylvia Maklès, moglie separata di Bataille, che sarà dal 1938 la sua compagna. Tra Lacan, Bataille e Masson – uniti dall’interesse per Eraclito, Sade e Nietzsche e per i temi dell’eccesso, del desiderio, della trasgressione – si infittiscono gli scambi e i confronti. Mentre Masson dedica due dipinti alla figura di Narciso, Lacan inizia a elaborare la teoria dello stadio dello specchio, destinata a inserirlo nel contesto internazionale della ricerca psicoanalitica. È questo uno dei passaggi salienti della mostra, grazie alla presenza del Narciso di Caravaggio di Palazzo Barberini, che consente di porre in primo piano il ruolo centrale svolto per Lacan dall’immagine e dai suoi tratti illusori, dal confronto con lo specchio visto come passaggio formativo della funzione dell’io.

Nell’allargarsi delle relazioni con i protagonisti della scena culturale francese, una fotografia di Brassaï scattata nello studio di Picasso nel 1944, dopo la liberazione di Parigi, mostra Lacan in compagnia di Louise e Michel Leiris, di Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre, di Albert Camus e dello stesso Picasso, che qualche mese dopo gli avrebbe chiesto di dedicare ascolto e attenzione a Dora Maar, in vista di un rapporto analitico destinato tuttavia a non decollare.

Sono però ancora Bataille e Masson ad accompagnare Lacan, nel 1955, nell’acquisto dell’opera eminente della sua collezione, L’Origine du monde di Courbet. Tutti i precedenti proprietari avevano conservato quella tela sotto veli o pannelli per nasconderla completamente. Masson realizza invece, come elemento mobile che potesse essere spostato per permettere agli ospiti di avere accesso alla sua visione, una composizione che duplica e riprende in forma decorativa le linee del dipinto. Osservare le due opere l’una accanto all’altra consente di cogliere la relazione che le lega, così come la distanza che le separa: il pannello di Masson appare come un calco, come una imprimitura, come un arabesco che, forse sulle orme di Matisse, muove e trattiene il nostro sguardo lungo volute circolari ed elusive; il quadro di Courbet rafforza il suo statuto di matrice, attira l’attenzione verso il suo centro, ci sfida ad affrontare l’equazione magnetica di sguardo e desiderio.

Se questo è il punto dell’esposizione in cui il movimento alternato del velare e dello svelare emerge con maggiore chiarezza, esso riaffiora anche in altre sezioni tematiche, a partire da quella dedicata all’occhio. Qui il rapporto tra cecità e visione viene evocato dalla Santa Lucia di Zurbarán del Musée des Beaux-Arts di Chartres, alla cui imperturbata serenità Lacan fa riferimento nel Seminario XI, dall’occhio-cielo de Le Faux Miroir di Magritte (1928) e dall’occhio-bersaglio di Pointe à l’œil di Giacometti (1931).

I temi del desiderio, della sessualità, del corpo in frammenti attraversano l’intero percorso, assumendo forme e definizioni diverse grazie al contributo di artiste e artisti contemporanei. Un tragitto possibile conduce dalla voce Jouissance, nozione idealmente presidiata dalla Santa Teresa di Bernini e che risuona in mostra nell’erotismo ascetico di una Arched Figure di Louise Bourgeois del 1993 e in quello vibrante e spezzato di And the Beast di Ghada Amer del 2004, a quella Rapport sexuel (il n’y a pas de), riferita al principio lacaniano dell’equivalenza impossibile del maschile e del femminile, dell’atto mancato, dello scacco – uno scacco del rapporto sessuale che, paradossalmente, cede il passo all’amore. A rappresentare questa impossibilità di incontro sono invitate anche in questo caso due artiste: Carol Rama con una parossistica Appassionata datata 1939 e Maria Martins con le forme anticipatamente post-umane di The Impossible III, del 1946.

La condizione dei visitatori di questa mostra, sentirsi esposti allo sguardo delle opere, può diventare attitudine e riservare qualche sorpresa, come quella, visitando alla Bourse de Commerce di Parigi la retrospettiva Mike Kelley. Ghost and Spirit, di scoprire un suo piccolo dipinto del 1985 che ricalca precisamente la situazione fissata da Brassaï nel 1933 in Lumière de nuit, la fotografia posta a corredo visivo dell’unico testo poetico di Lacan: una candela e la sua fiamma, qui accompagnate dall’iscrizione in corsivo «I Forgot»; titolo del dipinto di Kelley: The Power of the Unconscious.

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