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L’Abruzzo (del Pd) rompe il fronte referendario antitrivelle

L’Abruzzo (del Pd) rompe  il fronte referendario antitrivelle

No Ombrina Il governatore renziano Luciano D'Alfonso si tira indietro. «Il Consiglio non è stato interpellato» Il coordinamento nazionale No Triv chiede le dimissioni del presidente della Regione

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 15 gennaio 2016

L’Abruzzo abbandona il referendum antitrivelle. E lo fa con una decisione della Giunta regionale che, in gran segreto, ingrana la marcia indietro, ignorando il mandato del Consiglio regionale che, invece, compatto, il 24 settembre 2015 aveva scelto di portare avanti la consultazione popolare insieme ad altre nove Regioni (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise). Voltafaccia del presidente Luciano D’Alfonso (Pd) che in questa maniera lancia un chiaro segnale di fedeltà al premier Matteo Renzi che si sta muovendo su ogni fronte per evitare il referendum antipetrolio.

D’Alfonso baratta la cancellazione del progetto «Ombrina Mare» e i soldi del Masterplan (753 milioni) con l’abbandono del referendum? Sta di fatto che la Regione Abruzzo, senza farlo sapere troppo in giro, ha revocato l’incarico all’avvocato Stelio Mangiameli per i quesiti referendari antitrivelle che il 19 gennaio saranno all’attenzione della Corte Costituzionale.

«Si tratta di un atto gravissimo ed irresponsabile, dell’ennesimo colpo inferto alla democrazia nel nostro Paese», fa presente il Coordinamento nazionale No Triv. «Non solo il referendum non è più da tempo nella disponibilità di nessuno se non della Corte Costituzionale – aggiungono i portavoci dei No Triv – ma, volendosi spingere fino ad infrangere le regole, avrebbe dovuto essere il Consiglio regionale, che rappresenta tutti gli abruzzesi, a discutere e decidere se deliberare su questo drastico cambio di rotta. Il presidente D’Alfonso e la giunta si dimettano immediatamente!!!».

«L’Abruzzo ha rotto di fatto il fronte delle Regioni che si erano coalizzate contro il dilagare delle trivellazioni in mare – commenta Maurizio Acerbo, di Rifondazione comunista -. La cosa più grave è che lo ha fatto non solo nascondendolo alla cittadinanza ma persino in maniera illegittima visto che il Consiglio regionale è all’oscuro di tutto. Da quel che mi risulta l’Abruzzo ha deciso non solo di non affiancare le altre Regioni nel conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale, ma persino di ritirarsi definitivamente dalla compagine referendaria. Lo avranno deciso D’Alfonso e il suo esecutivo per ingraziarsi Renzi ma va sottolineato che non era nelle loro facoltà in quanto queste decisioni spettavano al Consiglio. Tutto ciò – prosegue l’ex consigliere regionale ed ex parlamentare, Acerbo – dà la misura della senso dalfonsiano delle istituzioni ché neanche la conferenza dei capigruppo è stata sentita. Non credo che l’avvocatura regionale o il delegato Lucrezio Paolini in questa materia possano legittimamente assumere posizioni senza mandato del Consiglio come invece sembra sia accaduto».

«Può il presidente surrogare il Consiglio regionale, che aveva deliberato in tal senso? O in un delirio di onnipotenza crede di poter sostituire chicchessìa?»: lo chiede il senatore Fabrizio Di Stefano (FI), che aggiunge: «Una cosa è certa: questa scelta non rappresenta la volontà degli abruzzesi e sicuramente dei consiglieri regionali di Forza Italia, che si faranno sentire per contrastare questa iniziativa che di certo nessuno vuole. Non si dica che la Legge di stabilità ha fermato “Ombrina” – aggiunge Di Stefano -. “Ombrina” forse è stata bloccata, ma altre trivellazioni, anche più devastanti, possono ancora essere autorizzate. Sommiamo la sospensione dell’autorizzazione ad “Ombrina”, l’autorizzazione alla società Petroceltic in Puglia e questa iniziativa: sono a mio giudizio indizi che ci fanno preoccupare».

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