L’Abruzzo degli emigranti contro l’arrivo dei rifugiati
Società Paesi sul piede di guerra per fermare l’accoglienza in loco di alcune decine di migranti. Raccolta di firme a Manoppello, paese del volto di Cristo e delle vittime di Marcinelle
Società Paesi sul piede di guerra per fermare l’accoglienza in loco di alcune decine di migranti. Raccolta di firme a Manoppello, paese del volto di Cristo e delle vittime di Marcinelle
Quelle 500 firme raccolte, domenica mattina, in pochissimo tempo, per dire no all’arrivo di profughi, sono suonate, un po’ ovunque, anche come un ceffone al proprio passato. Perché Manoppello, in provincia di Pescara, è realtà simbolo, a livello internazionale, del sacrificio del lavoro per via di una delle tragedie dell’emigrazione, quella di Marcinelle.
La mattina dell’8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier, in Belgio, in un incendio, causato dalla combustione d’olio ad alta pressione innescata da una scintilla elettrica, morirono 262 minatori. Tra essi 132 italiani, 60 abruzzesi, 23 provenienti appunto da Manoppello. Che ogni anno ricorda e commemora le proprie vittime: meno di quattro mesi fa ci sono state le celebrazioni per il 60esimo anniversario dal dramma, con la principessa Astrid del Belgio a piangere sulla tomba dei deceduti.
Eppure questa cittadina dell’Abruzzo, conosciuta anche per il turismo religioso, perché conserva il velo del Volto Santo, che ritrae l’immagine di un viso maschile ritenuto essere quello di Cristo, sembra non essere d’accordo con l’idea di accogliere migranti. L’altro ieri, subito dopo la messa, nel centro storico, in tanti hanno aderito all’appello di opporsi al loro arrivo. «Non li vogliamo», hanno ribadito, confermando malumori e contestazioni.
«Come amministrazione civica – spiega l’assessore Giulia De Lellis – non abbiamo alcun dato certo. Non sappiamo se saranno mandati anche da noi: non abbiamo alcuna comunicazione ufficiale dalla Prefettura. E sulla questione non ci siamo espressi. Interverremo a tempo debito». Questa la posizione ufficiale del Comune, anche se poi alcuni membri della maggioranza, ad esempio l’assessora Melania Palmisano e il consigliere Lucio Di Bartolomeo, avrebbero appoggiato la sottoscrizione popolare. «In maniera del tutto personale», viene specificato.
L’iniziativa è stata promossa dai residenti della frazione Colle Sant’Andrea, dove gli stranieri dovrebbero essere collocati, in un impianto turistico che contiene anche bungalov. La richiesta è stata fatta dalla cooperativa Arci che ha risposto ai bandi della Prefettura di Pescara. «Si tratta di una zona – viene spiegato dai fautori del no – che dista chilometri dal centro e non vi sono collegamenti con le località vicine, né servizi».
Giovanni Terreri, ex assessore, critica l’accaduto e scrive sui social: «Questa mattina ho assistito a una raccolta di firme per negare l’ospitalità a 30 extracomunitari che fuggono da guerre e discriminazioni. La cosa triste è che la petizione è stata organizzata anche dall’amministrazione comunale alla quale io ho dato il mio voto. Allucinante – continua Terreri – è stato vedere persone che uscivano dalla chiesa, dopo la funzione religiosa, per correre a firmare. Non sanno cosa dice papa Francesco in proposito?».
Ma in Abruzzo – terra di emigrazione massiccia – Manoppello non è l’unico paese a seguire l’esempio di Gorino: anche altri centri hanno alzato le barriere. Ad Atessa (Chieti), il posto della Sevel, industria Fca che produce il furgone Ducato, commercializzato in 80 Paesi nel mondo, le proteste sono andate avanti per oltre un mese e mezzo. In un ex albergo ristorante sono stati messi 50 africani: la maggior parte sono fuggiti appena se ne è presentata l’occasione. Clima esacerbato, tensione e polemiche e sit-in serali continuativi, con tanto di forze dell’ordine a presidiare, sono stati promossi da un agguerrito comitato che ha manifestato contro «il business dell’emigrazione». In un pacco, abbandonato nel piazzale esterno dell’hotel, è stata recapitata pure la testa mozzata di un capretto, con minacce.
In subbuglio anche Pietraferrazzana (Ch), borgo sul lago di Bomba con 110 anime (sono 134 all’anagrafe, ma parecchie case sono state acquistate da americani), dove è previsto l’arrivo di 50 migranti. Qui sono tutti sul piede di guerra. «La situazione è difficile – spiega il sindaco Ciro Carpineta -. Ma non perché siamo razzisti. Neanche a parlarne. È che non siamo in grado di ospitare 50 profughi. Abbiamo un minuscolo parco giochi con annesso campetto da calcetto per bimbi. Poi due bar e una piazzetta. Che tipo di integrazione dovremmo e potremmo fare?»
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