Laboratorio Finlandia
Storie/Un paese in costante evoluzione sonora che ha da poco festeggiato i 100 anni della repubblica Finnish tango, jazz, folk, extreme metal, suomi rock. Ripensando a Sibelius, il «padre della patria»
Storie/Un paese in costante evoluzione sonora che ha da poco festeggiato i 100 anni della repubblica Finnish tango, jazz, folk, extreme metal, suomi rock. Ripensando a Sibelius, il «padre della patria»
Mai come di questi tempi le collaborazioni in musica tra Finlandia e Italia sono così frequenti, intense, proficue: ad esempio l’etichetta romana Cam Jazz vanta nel proprio recente paniere il Sun Trio, i quartetti Big Blue e Northbound, lo Joona Toivanen Trio e il Kalevi Louhimori Quintet, protagonisti di almeno un disco a testa.
A Torino l’Essence Quartet, al recente debutto con l’album Here & Now, vede quale voce solista al sax alto la finlandese Sara Kari, contornata da Emanuele Sartoris, Dario Scopesi, Antonio Stizzoli. La milanese Schema rec. ha in catalogo un bel disco di Timo Lassy, il quale accompagna pure con i suoi Five Corners Quintet il cantante emiliano Andrea Balducci.
E ancora il tenor sax, nel recentissimo ep Lassy Moves, omaggia in un brano il Mar Adriatico, pur editando il più filandese dei sei album pubblicati finora a proprio nome, grazie alle presenze antipodiche del veterano jazzista Eero Koivistoinen e del rapper locale Paleface, non senza il contributo della Ricky-Tick Big Band Brass.
MASSIMI LIVELLI
Viceversa c’è stato lo zampino di un italiano nei festeggiamenti del centenario della Repubblica finlandese: il 2 novembre 2017 nell’elegantissimo scenario della Finlandia Talo a Helsinki il compositore alessandrino Aldo Brizzi ha diretto Preludio, concerto di musica afro-brasiliana, con il Cortejo Afro, Graça Reis e Gilberto Gil, per la prima volta nella capitale dopo due precedenti visite al Pori Jazz, forse il maggior festival scandinavo degli ultimi anni, dove lo scambio di esperienze tra solisti locali, europei, statunitensi, latinoamericani e asiatici è da sempre su livelli altissimi.
Basterebbero queste poche notizie a intendere come la Finlandia sia una nazione costruttivamente votata alla grande musica, a maggior ragione in un momento, come l’attuale, in cui si sta tentando un primo bilancio culturale di un secolo esatto di autonomia politica, un paese bello, ma poco votato al turismo di massa, persino misconosciuto al restante Vecchio Continente, benché fin da subito opti per l’eurozona e la scelta repubblicana (unicum nell’intera Scandinavia).
La Finlandia – Suomi in lingua originale, fra l’altro la sola non indoeuropea, assieme al magiaro – continua ormai da mesi a celebrare il secolo esatto della propria indipendenza: terra da sempre contesa fra diverse potenze (dapprima Svezia e Russia, ultime la Germania di Hitler e l’Urss di Stalin), grazie alla posizione strategica di frontiera fra i vari Nord del mondo, la Finlandia in passato vive di conseguenza profonde contraddizioni che solo di recente paiono superate o risolte: da studi internazionali risulta difatti lo stato più onesto, trasparente, incorruttibile, quello con il miglior sistema educativo e con il massimo tenore di vita materiale, nonostante o forse al di là di un clima meteorologico rigoroso, che vede l’inverno con sole tre ore di luce solare, contrapposto a un’estate breve ma ricca di chiarore naturale fin verso mezzanotte.
Sul piano della cultura, scuola a parte, la Finlandia dal 1917 a oggi è famosa nel mondo soprattutto per l’architettura e il design (non a caso arti legate al sociale) con figure quali Alvar Aalto e Eero Saarinen attivi tanto in patria quanto in moltissime realtà occidentali. Si potrebbero aggiungere il romanziere Frans Eemil Sillanpää (premio Nobel 1939) e il pittore Kalervo Palsa (tra fumetto, surrealismo, psichedelia), ma è la musica a far parlare di sé proiettando il territorio in una dimensione cosmopolita e internazionale.
In Finlandia molteplici linguaggi sonori infatti posseggono una intrinseca oggettiva singolarità che li distingue da quelli delle vicine regioni (Svezia, Danimarca, Norvegia, in parte Islanda) spesso accomunate proprio sul piano delle attività creative, denominabili un po’ troppo genericamente Nordic Culture.
UN MONUMENTO
In musica, dunque, sin dal primo Novecento la Finlandia esprime un compositore quale Jean Sibelius (1865-1957), che, ritenuto gloria nazionale, è venerato in loco quasi come un padre della patria: il monumento Passio Musicae a lui edificato dalla scultrice Eila Hiltunen è da mezzo secolo esatto fra le maggiori attrattive di Helsinki, nonostante le polemiche sorte dopo l’inaugurazione che all’epoca arrivano a mettere in discussione il concetto stesso di arte astratta, fra l’altro abbastanza lontano dal credo di Sibelius, propenso invece a dare valori concreti o realistici alle note del pentagramma.
Tuttavia il successo di Passio Musicae – di cui Hiltunen appronta persino due versioni su scala ridotta per le sedi Unesco di Parigi e Onu di New York – ha il merito in Finlandia di rendere ancor più famosa, post mortem, l’opera di Sibelius, fra i rari autori veramente «popolari» del Novecento e fra i pochi in grado di conciliare tradizione e avanguardia e di mitigare istinto, raziocinio, consapevolezza. Dunque Sibelius, emblema della nuova Finlandia, erede del tardoromantcismo delle cosiddette scuole nazionali, è parimenti attratto dalla modernità europeista e dal folclore autoctono: si tratta insomma di un sincretismo che rielabora e riversa in alcune partiture divenute ben presto famosissime: ad esempio il suo Valse triste, alla pari del Bolero di Ravel o della Rapsodia in blu di Gershwin resta fra i pochi modelli autenticamente pop della letteratura musicale colta di tutto il XX secolo.
IL DISTACCO
In patria tuttavia il nome Sibelius è associato soprattutto al poema sinfonico Finlandia, scritto nel 1899 per onorare il distacco del granduca di Finlandia dallo zar di Russia, ma divenuto ben presto simbolo dell’irredentismo nazionale e poi della lotta antinazista, anche grazie all’aggiunta, nel 1941, delle parole dello scrittore Veikko Antero Koskenniemi sulla lenta melodia ribattezzata Finlandia Hymni (usata come inno nazionale in Africa addirittura dalla breve Repubblica del Biafra). Sotto l’ala protettrice di Sibelius quindi si sviluppa, nel secondo Novecento, la musica contemporanea di matrice dotta – Einar Englund, Paavo Heininen, Uuno Klami, Magnus Lindberg, Leevi Madetoja, Aarre Merikanto, Väinö Raito, Einojuhani Rautavaara, Kaija Saariaho, Heikki Sarmanto – oggi assai ben documentata su compact disc, anche da un paio di etichette locali (Finlandia e Ondine), seguendo a grandi linee le tendenze evolutive delle sonorità europee, pur nel mantenimento di una singolarità autoctona collegabile alle grandi tradizioni folcloriche, da sempre mantenute in vita sia nelle forme originarie e revivaliste sia nelle fusion con altri stilemi (dal rock al jazz).
Il folk o musica etnica finlandese è, infatti, un capitolo interessante della storia finlandese per il carattere precipuamente indentitario, benché, nei gusti di massa, venga oggi affiancato da linguaggi talvolta modaioli d’importazione angloamericana. Si possono tuttavia riscontrare dirette influenze finnish folk in gruppi heavy metal locali come Apocalyptica e Sonata Artica e persino negli Him dal 1991 la rock band più nota all’estero anche per la messa a punto di un sottogenere definito love metal, facile compromesso fra sonorità dure e romanticherie giovanili.
IN RITARDO
Tornando al folclore, il movimento giovane di riscoperta più o meno filologica inizia con un decennio di ritardo rispetto al mondo anglosassone o mediterraneo, benché i risultati sul piano espressivo non tardino a manifestarsi: i gruppi Värttinä e JPP o i solisti Maria Kalaniemi e Kimmo Pohjonen diventano famosi anche all’estero, grazie all’interesse generale per la world music, facendo conoscere il meglio dello spirito vernacolare finlandese, musicalmente proteso tra classicità, humour, evocazione, minimalismo, appariscenza, così come nel rock i Leningrad Cowboys – di fatto creature del regista Aki Kaurismäki – propongono a loro modo una surreale patchanka nordica.
Il folk celeste-crociato ha perciò diverse connotazioni, spaziando dalla canzone-poema (ronulaulu) alle danze (musica pehimani) fino al virtuosismo puro (rekilaulu), passando dagli strumenti arcaici (kantele e jouhikko) a quelli sette-ottocenteschi (violino, harmonium, fisarmonica), per non parlare della collocazione geolinguistica (Karelian Sound, Swedish Finland) e dei luoghi deputati (Kaustinen). Tuttavia, alla fine, le musiche popolari maggiormente originali e significative risultano paradossalmente quelle ereditate da moderne tradizioni di paesi anche molto lontani come da un lato il tango canción argentino, dall’altro la polka tedesca e cecoslovacca: nel primo caso, idealmente paragonabile alla country music statunitense, il finnish tango è già presente negli anni Venti – fondamentale il contributo di un artista ‘maledetto’ quale il cantante Olavi Virta – ma nobilitato solo dagli anni Novanta grazie al solito Kaurismäki.
Nel secondo la humppa oggi è suonata velocissima – ad esempio con il quintetto Eläkeläiset, letteralmente i pensionati – con l’animo canagliesco, demenziale, satireggiante di certe orchestrine balcaniche. Per quanto riguarda il finnish jazz – già altre volte trattato su Alias per le frequenti intersezioni con la techno e il crossover in ambito contemporaneo – prevale a livello di studi, indagini, ristampe discografiche, la tendenza a guardare retrospettivamente a un passato ancora incline ai modelli Usa che, assieme alle sonorità britanniche, sono pure alla base di tanto pop rock iniziato proprio durante i Sixties, in parallelo all’evolversi tardivo di un bebop locale.
Per il jazz, infatti – a differenza di quanto avviene in Svezia, Danimarca, Norvegia, dove i jazz club di Stoccolma, Copenaghen, Oslo ospitano i maestri dal cool al free, e dove vari Lars Gullin, Niels Pedersen, Jan Garbarek, rinnovano, dopo lo swing gitan francese, la profonda identità del jazz europeo, facendosi apprezzare persino negli Usa – in Finlandia occore aspettare i tardi Seventies grazie a due personaggi come Edward Vesala (percussioni) e Pekka Pojhola (contrabbasso) per forgiare un finnish sound dal respiro internazionalista.
ANTICIPAZIONI
Il giovanilismo alternativo e sotterraneo, presente dunque tra i ’60 e i ’70 nel rock, pop, folk, jazz finlandese è altresì da rapportare idealmente all’attività svolta all’epoca da Marimekko, azienda tuttora assai prolifica – già fondata nel 1951 da Viljo e Armi Ratia – nata come laboratorio alternativo ispirato tanto al Bauhaus quanto al Flower Power, anticipando di oltre un decennio Fiorucci o Ikea nel produrre abiti, design, accessori, casalinghi, tessuti, arredamento in stile via via hippie, optical, country-folk, neo liberty, per smitizzare i luoghi comuni sui Finlandesi grigi, chiusi, algidi e per ri-costruire e de-costruire un macrocosmo vivace e coloratissimo.
Tornando ai musicisti l’Elvis Presley finnico in realtà sono due, i fratelli Eero e Jussi Raittinen al centro di almeno tre r’n’r band dei primi Sessanta: Jormas, Topmost, Ernos; il Bob Dylan finnico si chiama Irwin Goodman (alias Antti Hammarberg, 1943-1991): combina iskelmä e protest song, grazie ai testi umoristici di Vexi Salmi, in controtendenza al treno esterofilo di cantare in un pessimo inglese. Tuttavia anche i finlandesi risultano sensibili alla moda beat, introdotta dai Renegades di Birmingham, per qualche anno in pianta stabile a Helsinki e poi stabilitisi in Italia.
LOVE RECORDS
In parallelo, nel 1966, un jazzman locale, Henrik Otto Donner fonda la casa discografica Love Records con l’intenzione di lanciare giovani sonorità moderne, aprendo la strada al primo grande periodo del rock finlandese, per molti versi ancora insuperato, benché in patria molti considerino originali e esportabili solo il suomirock, l’eurodance, l’extreme metal e dagli anni Ottanta a oggi.
Dunque nel 1967, con Love Records, iniziano i Blue Section con l’omonimo album a creare una sorta di psichedelia in odore di progressive, seguiti dai Suomen Talvisota 1939-1940 con il loro unico disco Underground-Rock (1970) dal titolo programmatico e via via, per circa un lustro da The Sperm, Apollo, Tabula Rasa, Wigwam del bassista Pekka Pohjola (poi incline al jazz rock) e Tasavallan Presidentti (già vicini alla fusion).
«Abbiamo una vasta gamma di musicisti in Finlandia supportati da un ottimo sistema educativo – racconta Timo Lassy -. Non posso dire che la mia musica non sia finlandese (dato che sono nato qui), ma forse posso dire che non è l’esempio più tipico dal momento che è più blues e groovy del ’nordic sound’ in generale. Il jazz arrivò in Finlandia molto più tardi rispetto a molti altri paesi nordici. Abbiamo avuto guerre e tempi difficili in seguito. Quindi per metterci in pari abbiamo dovuto fare passi da gigante o quasi saltare. Ma come in molti altri campi, i finlandesi tendono a essere seri e a rispettare il duro lavoro».
FUORI I DISCHI
Jean Sibelius
Violin Concerto In D Minor (Chandos, 1990)
Questo concerto in re minore, scritto nel 1903, è forse la miglior composizione in quanto forza espressiva connessa a schietto virtuosismo. La versione discografica (con Alan Brind al violino) è della Royal Philarmonic Orchestra diretta da Vernon Handley.
Carola & Heikki Sarmanto Trio (Sähkö Records, 1966)
Pubblicato su cd solo nel 2004, questo omonimo, inedito materiale di studio risale al 1966 e presenta forse l’unica vera jazz singer finnica alle prese con una dozzina di standard in chiave moderno-contemporanea.
Einojuhani Rautavaara
Cantus Articus (Naxos, 1997)
Del compositore helsinkiano (1928-2016) vengono proposti, oltre il canto artico (1972) anche il Piano Concerto n. 1 (1969) e la Sinfonia n. 3 (1960) con la Royal Scottish National Orchestra che ben sottolinea le qualità romanticamente neoclassiche dei tre lavori.
Edward Vesala
Nan Madol (Japo, 1974)
Il primo grande lp di finnish jazz, non a caso subito ristampato dalla Ecm: undici musicisti (tra cui Charlie Mariano, già con Charles Mingus) ruotano attorno a un lungimirante progetto di post-free europeo.
Pekka Pojhola
Keesojen Lehto (Love Records, 1977)
L’album forse più manipolato nella storia della discografia: registrato con Mike e Sally Oldfield questo gioiello fusion dal 1981 è attribuito al solo Mike Oldfield col titolo The Consequences Of Indecisions e via via come The Mathematician’s Air Display (Inghilterra), Skuggornas Tjuvstart (Svezia) e Untitled (Usa).
Topi Sorsakoski
Iltarusko (Emi, 1994)
Cantante eclettico, dal blues al musichall, si dedica verso la fine della carriera alla riscoperta del primo finnish tango: in quest’album struggente è accompagnato dalla tradizionale Veikko Huuskosen tango-orkesteri.
Magnus Lindberg
UR/Corrente/ Duo Concertante/Joy (Disques Adès, 1994)
Nella prestigiosa collana Compositeurs d’aujourdhui (legata all’Ircam) e con l’esecuzione dell’Ensemble Incontemporain, ecco l’album internazionale dell’autore finlandese più postmoderno.
Antti Sarpila With Friends
Tales of True Trasformation (Partek, 1998)
Il maggior revivalista vivente si esibisce con la prestigiosa UMO Jazz Orchestra nella prima parte in una suite perigliosa, nella seconda in brani swing in stile Benny Goodman.
Värttinä
Vihma (Bmg, 1998)
Fondato nel 1983 dalle sorelle Sari e Mari Kaasinen, il trio vocale (supportato dai sei strumentisti) giunto al settimo album, grazie alla consulenza di Paddy Moloney degli irlandesi Chieftains, vira leggermente verso il pop rock, senza però tradire l’originario folk dell’antica Karelia.
Kaija Saariaho
Chateau de l’âme (Sony, 2001)
Una all star di interpreti classici – dal direttore Esa-pekka Salonen , alla soprano Dawn Upshaw, al violinista Gidon Kremer – per omaggiare l’allora cinquantenne compositrice di Helsinki, in fondo erede della razionalità della musica colta finnica.
Duo Nueva Finlandia
Short Stories (Tum rec., 2005)
Due veterani del modern jazz finlandese si ritrovano nel 1998 a improvvisare l’intero album: Eero Ojanen (pianoforte) e Teemu Hauta-aho (contrabbasso) raccontano quattordici piccole storie in chiave post-free dalla congeniale empatia.
Nylon 66’ers
Yeah Yeah Yeah! (Stupido Records, 2007)
In questo doppio cd il quintetto neopsichedelico va forse oltre le definizioni di genere, poiché regala una serie di cover (nel secondo cd antologizzate dal 1991 al 1999) allargata a quasi tutto il rock-pop dei «favolosi» metà ’60.
Joona Toivanen
Lone Room (Cam Jazz, 2015)
Registrato in completa solitudine a Cavalicco (Udine), l’album pianistico, tra echi di Chick Corea e Keith Jarrett, trasmette «un’inequivocabile sensazione di maturità» come scrive nel booklet il grande jazzologo scozzese Brian Morton.
Kalevi Louhivuori Quintet
Almost American Standards (Cam Jazz, 2016)
Otto brani scritti dal giovane jazzman che contende a Martti Vesala il primato di maggior trombettista jazz finlandese, oltre una versatilità espressa anche nei gruppi Sun Trio e Big Blue.
Martti Vesala Soundpost Quintet
Helsinki Soundpost (Ozella, 2016)
Forse il maggior talento dei giovani finlandesi, il biondo trombettista propone con la label tedesca otto personali composizioni in «libertà controllata» nel perfetto equilibrio tra scrittura e improvvisazione.
Timo Lassy
When the Devil’s Paid feat. Ed Motta, (Membran, 2017)
Il sassofonista più cool e lounge dell’intera Scandinavia incontra il cantautore brasiliano Ed Motta, tra i primi a interfacciarsi al jazz: ne fuoriesce un ep estramente solare e piacevole.
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