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L’abbiccì del postcinema

L’abbiccì del postcinemada "The Neon Demon" di Nicolas Winding Refn (2016)

Libri Tecnologia e teoria, gli scenari del futuro in "Visioni digitali" di Simone Arcagni

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 6 agosto 2016

Era il 1998, e nel suo film Aprile Nanni Moretti riprendeva con ironia lo scenario avveniristico di Strange Days: «Hai mai jackato? Hai mai zigoviaggiato? Ah, un cervello vergine… ti faremo cominciare bene!». Internet era da poco entrato nelle nostre vite, la realtà virtuale esisteva già ma spettava alla fantascienza il compito di immaginare gli sviluppi più concreti della vita che avrebbe caratterizzato gli anni a venire.

In un mondo profondamente mutato dallo sviluppo tecnologico, e a più di vent’anni dal film di Kathryn Bigelow, Simone Arcagni ha provato a fare un bilancio di quel che è successo e del punto in cui ci troviamo in un libro che si chiama Visioni digitali – video, web e nuove tecnologie, recentemente pubblicato da Einaudi. Arcagni insegna all’Università di Palermo ed è da tempo un osservatore attento delle trasformazioni del cinema e dei nuovi media verso gli scenari del futuro.

Animato da un sincero spirito di indagine e da un rigoroso scrupolo pedagogico, il libro rivendica sin dalle prime pagine il superamento di un’impostazione tradizionale – quella dei film studies e dei media studies – e non si sottrae al difficile compito di definire nuovi e adeguati termini per analizzare la galassia mediale espansa ed estesa in cui ci troviamo a vivere. Se è vero infatti che la società digitale contemporanea ha al suo centro l’audiovisivo come forma principale della comunicazione, è altrettanto vero che per comprenderla fino in fondo è necessario dotarsi di un vocabolario capace di tradurre con esattezza le trasformazioni cui quelle forme sono soggette. Una su tutte: lo slittamento epocale dalla figura dello spettatore a quella dell’utente, ovvero di uno spettatore che naviga, sceglie, scarica, archivia, mixa, rimette in circolo i contenuti audiovisivi piuttosto che limitarsi a fruirne (più o meno) passivamente. Ci troviamo nell’orizzonte di quelli che Rosalind Krauss ha definito postmedia, ovvero un sistema che supera lo specifico tecnico dei media tradizionali riprendendone le forme e mutando profondamente il DNA della comunicazione, attraverso la realizzazione di uno spazio costitutivamente ibrido che ha influenze decisive sulla vita delle persone.

«Webserie interattive, webdoc seriali crossmediali, appserie game […] sono, che lo vogliamo o meno (o meglio, che siamo capaci di definirli o meno) [le cose] che stanno oggi imponendo i nostri immaginari e definendo le nostre pratiche e le nostre esperienze di comunicazione». Come dire: se si vuole comprendere la contemporaneità bisognerà interrogarsi anche sul fatto che guardiamo più spesso uno schermo che le persone che abbiamo di fronte, e occorrerà ragionare in maniera articolata sui modi in cui le nostre relazioni ne risultano modificate. Senza dimenticare che anche questo scenario è in continua evoluzione: basti pensare alle conseguenze che l’ubiquitous computing e la progressiva sostituzione degli schermi con dispositivi che portiamo direttamente sui nostri corpi – dall’orologio intelligente a un paio di occhiali aumentati – lasciano intravedere per il futuro.

Le relazioni che questa galassia intrattiene con le forme del cinema sono molte e di tipo diverso. Il cinema ha rappresentato l’immaginario di riferimento per eccellenza di questo universo audiovisivo, e il modo in cui il mondo del web gli si è avvicinato è quello del mash-up, del gioco, della riappropriazione, del tradimento e del remix. Ma lo scambio continua ad avvenire anche nella direzione opposta, se questo panorama influenza in maniera significativa la formazione e l’estetica di molti registi contemporanei come Xavier Dolan o l’ultimo Nicholas Winding Refn. Ed è inoltre la precondizione per concepire l’ibridazione su più livelli realizzata dal gruppo musicale degli Arcade Fire quando affidano a Spike Jonze e all’attrice Greta Gerwig la performance live di Afterlife, realizzando per gli Youtube Music Awards del 2013 un prodotto che si situa a cavallo tra videoclip, flash mob e coreografia classica: nient’altro che la traduzione in immagini ed esperienza dell’atmosfera immersiva che caratterizza il postcinema e le sue molteplici forme. Quello a cui assistiamo non è dunque un semplice fenomeno di rilocazione del cinema, sottolinea Arcagni, bensì una vera e propria rivoluzione tecnologica, scientifica e cognitiva.

È questo il nucleo fondamentale del libro: ripercorrere questi cambiamenti e mostrarne le tappe più significative, tracciando una mappa ordinata e una bibliografia preziosa con l’aiuto delle quali sia possibile orientarsi nel presente con maggiore chiarezza. Da questo punto di vista Visioni digitali assomiglia a un abbecedario, e come tale assume una posizione per lo più neutra (quando non francamente entusiastica) nei confronti dei fenomeni che descrive. Il libro risponde dunque innanzitutto all’esigenza di creare una base analitica, ragionata e ricca di esempi dell’universo del postcinema, ed è pertanto uno strumento essenziale per portare avanti un discorso che riguarda la costruzione di spazi che non hanno nulla di neutro e che chiedono di essere interrogati in profondità e al di fuori di ogni epochè per comprendere le trasformazioni che comportano in ambito politico, sociale o addirittura antropologico. La studiosa inglese Susan Blackmore afferma che il web potenziato crea un uomo nuovo aumentato dai data, e che è necessario costruire nuovi modelli antropologici per comprenderlo. Bisognerà allora proseguire questa indagine per ragionare delle logiche cui questi cambiamenti rispondono e dei modelli di società che creano. Sottovalutarne l’importanza creerebbe un rischio che è sotto gli occhi di tutti: svegliarsi in una realtà aumentata accanto a un Pokemon senza riuscire a capire il perché.

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