Cultura

Labate, il mio bianco e nero ha i toni blu dei film neorealisti

Labate, il mio bianco e nero ha i toni blu dei film neorealistiCover della rivista Andersen 413, giugno 2024

Intervista L'illustratrice premio Andersen ospite con una mostra a Book Pride di Genova presso Palazzo Ducale, venerdì sarà anche in conversazione con Walter Fochesato nella sala Luzzati

Pubblicato 2 giorni faEdizione del 3 ottobre 2024

Isabella Labate è l’illustratrice di Savona, classe 1968, che ha vinto il premio Andersen 2024 con i suoi poetici disegni che affidano al bianco e nero e ai toni delicati del grigio gli stati d’animo dei personaggi narrati. È dedicata a lei la mostra a Palazzo Ducale di Genova nell’ambito di Book Pride, con 12 tavole tratte dai suoi albi (Orecchio Acerbo – suo anche Il bambino del tram, sulla storia di Emanuele Di Porto che si salvò dal rastrellamento del ghetto di Roma – e Kite) e la cover di Andersen che ha firmato in occasione della sua vittoria. Domani, alle 18.30, sarà in conversazione con Walter Fochesato nella Sala Luzzati. «Ho avutola fortuna di incontrare Emanuele Luzzati nella scuola di comunicazione visiva Byron, a Genova, che non esiste più da anni – afferma Labate –. Era un uomo soave, riservato ma sempre sorridente, dava l’impressione vivesse in un mondo a parte. Ero molto giovane per capire profondamente quale genio avessi davanti, lo conoscevo per le animazioni e mi interessavano forse più gli aspetti tecnici che quelli artistici. Con la maturità, ho ripensato a quel periodo con la sensazione di non aver sfruttato completamente la formazione che poteva offrirmi.

Luzzati usava i colori. Il suo stile invece è rigorosamente in bianco e nero, fotografico. Può spiegarci la sua idea di illustrazione di un testo?
I primi tempi, per farmi le ossa, non rifiutavo nessuna proposta. Non solo editoria per ragazzi, ma giornali, agenzie pubblicitarie, aziende. I miei lavori di allora erano realizzati con qualunque tecnica, e molto colorati, il bianco e nero era relegato all’illustrazione tecnica o scientifica. Avevo bisogno di esplorare diversi linguaggi e capire quale realizzasse meglio la mia indole. Intorno agli anni duemila mi sono fermata brevemente per la nascita dei figli, e quando mi sono riaffacciata alla professione ho deciso che avrei preso poche commesse ma di estrema qualità. Ho proposto al mio editore dei progetti in bianco e nero e quella è diventata la mia voce. I miei bianchi e neri non sono uguali uno all’altro. In un progetto possono essere leggermente virati seppia per ricordare l’ingiallimento delle foto degli anni ’50 o avvicinarsi ai toni del blu delle pellicole Ferrania con le quali si realizzavano i film del neorealismo. Credo che le illustrazioni di un albo debbano essere un percorso narrativo parallelo al testo. Nelle mie tavole ci sono diverse chiavi di lettura: una più immediata, che possa essere naturalmente «letta» da un bambino, una più profonda, dedicata all’occhio dell’adulto, e qualche dettaglio che può essere colto solo da pochi.

Quali sono state le sue letture preferite da bambina?
Ho avuto pochi libri dedicati alla mia età quando ero piccola, poi sono arrivata in biblioteca, avrò avuto otto anni e mi si è aperto un mondo. In casa guardavo i libri di mio padre, mi perdevo nei libri d’arte. Avevamo una enciclopedia, Conoscere, completa di illustrazioni; didascaliche ovviamente, ma realizzate con una maestria e una freschezza lodevole anche ai giorni nostri.

Le sue fonti d’ispirazione?
Al Byron conobbi un altro insegnante: si chiamava Aldo Viganò ed è stato un critico de Il Secolo XIX, che ci insegnava il linguaggio del cinema. Già dopo le sue prime lezioni non sono stata capace di guardare un film nello stesso modo, e quello che mi ha trasmesso è stato prezioso per riuscire a raccontare con le immagini. Roberto Innocenti (forse il più grande disegnatore italiano degli ultimi anni), anch’egli mio maestro, ama dire che un illustratore è un po’ il regista del suo libro, ma anche lo scenografo, il costumista, il tecnico delle luci, il direttore della fotografia e del cast. A volte questo succede in maniera inconscia e si fonde nella progettazione tutto il bagaglio di conoscenze di decenni.

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