Un quotidiano che si autodefinisce Libero titola che la colpa della tragedia ferroviaria pugliese è degli archeologi. Come è noto, quando ci sono i morti arrivano sciacalli e avvoltoi. E i responsabili non sono mai da cercare nei quadri delle politiche degli ultimi decenni, dello sviluppo senza controlli per la tutela di cultura e paesaggio. I responsabili sono da cercare nel lavoro: ieri i ferrovieri, oggi gli archeologi.

«Sono queste le pratiche dell’archeologia preventiva, adottate in tutti i Paesi civili, da anni vigenti nel nostro Paese e recentemente riviste nel nuovo Codice degli Appalti. Sono procedure che non bloccano i lavori ma anzi li facilitano, rendendo compatibili la conoscenza e la salvaguardia del patrimonio culturale e la realizzazione di importanti opere pubbliche» dicono gli archeologi in un durissimo comunicato congiunto.
Non si tratta semplicemente dello squallore di un fogliaccio reazionario, che indica il nome di un collega: qualcuno da dare in pasto alla “ggente”. Si legge nelle righe dell’articolo, sin da quelle che commentano il titolo, l’irrisione dell’analisi specialistica, si riconosce ancora integro e ben conservato un reperto: la vena fascista del “culturame”.

Ma soprattutto, e ciò rende il non commentabile degno di commento, vi è la rappresentazione rozza di una mentalità più ampia, che permane da anni e cerca di eludere la tutela del paesaggio.

Si costruiscono a questo scopo nuove leggi, spesso affrettate e impugnabili ma efficaci nel breve periodo, magari affidando archeologia o paesaggio alla Protezione Civile (come nel 2009 con la nomina di Bertolaso a commissario dei monumenti archeologici di Roma) per sottrarli al controllo pubblico e cercare di regalarne il controllo alla politica corruttibile; oppure li si mette all’indice, come nelle linee di un presidente noto per il suo fastidio della tutela dei monumenti, prima nell’esperienza del governo fiorentino, ora in quello del Paese.

Vi è una cultura politica che cerca di eludere la salvaguardia del paesaggio con le eccezioni, le grandi opere, l’attacco alla norme urbanistiche, lo Sblocca Italia; all’opera per intaccare quel patrimonio ancora difeso dall’art. 9 di quella Costituzione e che fra poco, nei suoi profondi e gravi cambiamenti, andrà sotto referendum.

Gli archeologi lavorano a quel patrimonio che tutti dicono essere una delle grandi risorse morali e materiali dell’Italia, che ha una presenza enorme in tutto il Paese e particolarmente in quel mezzogiorno, e nella Sardegna, fattore prezioso per un modello diverso da quello della cementificazione e dell’industria inquinante. Si lavora su questa speranza.

I lavoratori sono tradizionalmente vittime, ma usati da taluni come responsabili degli errori di padroni e governi: ora tocca agli archeologi, lavoratori cognitivi che oggi danno particolarmente fastidio perché operano nel territorio. Formatisi con senso del patrimonio pubblico e dei beni comuni, in numero crescente lavoratori indipendenti che operano nei piani urbanistici, nella programmazione culturale, ai quali è affidata, come obbligo di legge, la valutazione archeologica preventiva delle opere pubbliche. Ho l’impressione che ciò spieghi il volgare attacco e ne costituisca la ragione profonda.

La cultura non si mangia e neppure si digerisce. Serve al massimo a trovare un capro espiatorio e pensare alle mani libere sul territorio, insomma, al servizio degli speculatori di ogni risma.

Ma non prendetevela solo con Libero e Mario Giordano. Essi sono gli esecutori di un piano che ci vuole riportare alle opere senza valutazione di impatto ambientale, che prosegue la deregulation berlusconiana attraverso Monti e Letta sino all’attuale governo.
Non prendetevela con Libero e Mario Giordano, perché essi fanno parte della maggioranza al governo.