Cultura

La voce di chi cerca un’altra vita, «per terra e per mare»

La voce di chi cerca un’altra vita, «per terra e per mare»Jacob Lawrence. The migrants arrived in great numbers. 1940-41

Versi Nella traduzione di Pietro Deandrea, 78 poeti britannici raccontano migranti e rifugiati. Una raccolta pubblicata da CivicLeicester

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 20 marzo 2021

L’immagine del piccolo profugo siriano con la maglietta rossa annegato nel settembre 2015 davanti alla spiaggia di Bodrum, paradiso turistico della Turchia, fece il giro del web e delle tv, riempiendo le prime pagine dei giornali e le discussioni attorno alla tavola, suscitando sdegno e compassione unanime e riportando, per un momento forse troppo breve, l’attenzione internazionale sulla questione di migranti e rifugiati.

NON SORPRENDE dunque che sia proprio questa una delle immagini più ricorrenti del volume Per terra e per mare: Poesie per chi è in cerca di rifugio (CivicLeicester, pp. 148, euro 12, a cura di Kathleen Bell, introduzione di Sir Martyn Poliakoff, traduzione e postfazione di Pietro Deandrea); che raccoglie i contributi di 78 poeti britannici, quasi tutti attivisti o provenienti da famiglie di immigrati.

«E poi c’è quella fotografia/ di un ragazzino affiorato sulla spiaggia/ i piedi puntati verso la riva/ il volto insabbiato nel mare/ il corpicino che poteva essere mio figlio o il tuo/ che dice che dovremmo vergognarci di noi stessi», si legge in «Accuse» di Aoife Mannix, o ancora «e i bambini non dovrebbero morire in barche di plastica di notte/ e la gente che vende armi/ non dovrebbe governare nazioni/ raccontare menzogne/ fare guerre», («Per Aylan» di Laura Taylor).

Da queste liriche affiorano prepotentemente immagini di uomini, donne e bambini che scappano dalle loro case a causa di guerre e catastrofi naturali, che attraversano deserti, continenti, mari e oceani in cerca di salvezza, ma spesso trovano la morte in viaggi senza ritorno. Dolore misto a speranza, disperazione mista a rabbia scaturiscono dai versi, in navi «cargo senza documentazione e senza consolazione», stive senz’aria, camion roventi, centri di accoglienza che sono lager, tra spranghe e scariche elettriche, sballottamenti di corpi, perquisizioni e cani poliziotto, urla, torture, macerie e fughe, freddo e arsura, fame e sete.

E poi l’indifferenza, se non l’astio e l’odio di chi sta dall’altra parte e crede che la terra, e la certezza della vita, appartengano loro di diritto, ma dicono a chi approda di «trovarsi un posto a cui importi di più», («Da un’isola del nord Atlantico», di David Belbin), o che «i sopravvissuti sono un peso come i pomodori che raccolgono», come nel singolo pugnante verso di Helen Buckingham, ma anche la ribadita certezza che «Casa nostra/ è un unico paese/ davvero, la terra intera» («Un unico paese», di Rod Duncan), e che la vita di ogni singolo essere umano abbia un valore intrinseco e irrinunciabile.

ALL’APPELLO di Ambrose Musiyiwa di tradurre le poesie della raccolta in più lingue possibili (nell’ambito del progetto di traduzione internazionale Journeys in Translation) ha risposto dall’Italia Pietro Deandrea, docente dell’Università di Torino, che ne ha fatto oggetto di un seminario di traduzione letteraria in due diversi anni accademici. Dal lavoro di gruppo e dalla partecipazione creativa degli studenti, emerge la potenzialità del linguaggio di esprimere appieno la nostra umanità, solidarietà ed empatia.

I ricavi della vendita del libro sosterranno le attività di Mosaico: Azioni per i rifugiati (Torino), Watch The Med AlarmPhone, e After18 (Leicester).

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