La chiave di lettura del documentario dedicato all’artista siciliano scomparso lo scorso anno, arriva proprio nel finale, quando Vincenzo Mollica nel corso di un’intervista televisiva gli chiede, citando Mesopotamia: «Ma cosa ti piacerebbe rimanesse di te di questo transito terrestre?» «Il mio suono. Il suono è una vibrazione di quello che sono», è la risposta schietta e sincera. Dopo la presentazione lo scorso luglio al 68esimo Taormina Film Fest, il documentario di Marco Spagnoli Franco Battiato – La voce del padrone, arriva sugli schermi per una settimana dal 28 novembre al 4 dicembre. Una coproduzione Rs Productions, Altre Storie e Itsart che si muove su un doppio binario: raccontare Battiato partendo dal suo album più famoso attraverso le voci di amici, colleghi e collaboratori, e al contempo addentrarsi in una narrazione che si fa più intima nella descrizione di una personalità complessa e multiforme. Un viaggio che parte da Milano dove il musicista muove i suoi primi passi, per approdare a Milo scelta da Battiato come residenza ma anche come luogo dove accogliere amici, scrivere, concentrarsi, meditare e che diventerà il luogo dove passerà gli ultimi anni della sua esistenza.
Per farlo Spagnoli adotta come mezzo esplorativo il viaggio, metodo non originale ma funzionale per permettere al protagonista del film – insieme ovviamente al «grande assente», Stefano Senardi, amico di lunga data di Battiato e figura cardine dell’industria musicale italiana, di raccogliere confidenze, testimonianze a aneddoti intorno alla sua figura. Un viaggio che parte da Milano dove il musicista muove i suoi primi passi, per approdare a Milo scelta da Battiato come residenza ma anche come luogo dove accogliere amici, scrivere, concentrarsi, meditare e che diventerà il luogo dove passerà gli ultimi anni della sua esistenza.

UN VIAGGIO nella memoria certo, ma anche narrazione di una carriera lunga e quanto mai varia che si rivela al grande pubblico con il disco del 1981. Una lavorazione raccontata proprio dal team di musicisti scelti da Battiato per l’incisione dell’album con cui scientificamente sceglierà di entrare nell’arena del pop commerciale, ma a modo suo. «Inserisce – spiega l’ex chitarrista della Formula Tre Alberto Radius – tutti gli elementi della sua musica: armonizzazioni, cori raddoppiati e quadruplicati, archi e strumentazione classica», sublimando tutto nella veste di canzonetta. «Quell’estate il disco che superò un milioni di copie vendute – spiega Alice che con Battiato ha concepito dischi e tourneé – lo sentivi ovunque, anche nelle località più impensate». In trenta minuti o poco più, Battiato manda al macero le certezze del pop italiano e inserisce al contempo – con ironia – frammenti della sua evoluzione personale. La voce del padrone – e le testimonianze raccolte da Senardi lo confermano – servì a Battiato per coinvolgere il pubblico nei decenni successivi e accompagnarlo verso scelte più ardite: lieder, opere sinfoniche, fino ad approdare alla pittura e più avanti a un’altra sua grande passione: il cinema.

«ERA UN PERSONAGGIO straordinario – lo definisce Willem Dafoe, il compagno della regista Giada Colagrande protagonista del film Padre dove Battiato sostiene il ruolo del genitore della regista – «era capace di silenzi improvvisi e battute esilaranti ma spesso si astraeva, con un distacco che faceva sembrare che pensasse a qualcosa di…ultraterreno». Pur con qualche divagazione, il documentario di Spagnoli riesce nell’intento di comunicare l’energia vitale e la complessità di Battiato, uomo e artista.