Visioni

La vita gotica del pittore norvegese, circondato da lutti e pazzie

La vita gotica del pittore norvegese, circondato da lutti e pazzieAutoritratto di Edvard Munch quando nel 1908 fu ricoverato in una clinica psichiatrica a Copenhagen

In sala Da lunedì 7 novembre fino a mercoledì 9, al cinema il docufilm «Munch. Amori, fantasmi e donne vampiro», diretto da Michele Mally che firma la sceneggiatura con Arianna Marelli, produzione 3D e Nexodigital

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 4 novembre 2022

«Non dipingo ciò che vedo ma ciò che ho visto». Scrive così nei suoi taccuini il norvegese Edvard Munch e, in effetti, a scorrere la sua vita come fosse un romanzo gotico, di fantasmi quel pittore circondato da lutti e pazzia famigliare (pure la sua), ne ha dovuti proteggere molti fra le mura di casa. Il confine labile fra i vivi e i morti sarà da lui coltivato con ardore sino alla fine: nei dipinti, nei colori brumosi, negli sguardi, ma anche nelle fotografie, quando ritraendo se stesso o le proprie amanti sdoppierà l’immagine in cerca dell’«ombra», popolando l’inquadratura di presenze inquietanti.
Prodotto da 3D e Nexo Digital, il docufilm Munch. Amori, fantasmi e donne vampiro, diretto da Michele Mally (e co-sceneggiato con Arianna Marelli) sarà nelle sale il 7, 8 e 9 novembre. Solo un anno fa si è inaugurato a Oslo – l’antica Kristiania in cui viveva l’artista – il nuovo museo a lui dedicato: un grattacielo che si erge a Tøyen e conserva al suo interno un lascito di circa 28mila opere tra quadri, stampe, disegni, quaderni, schizzi, fotografie.E gli esperimenti cinematografici che lo vedono aggirarsi per la città per poi montare insieme immagini stranianti.

Il film si apre nella casa di Edvard Munch a Åsgårdstrand e a narrare storie nordiche abitate da incantesimi notturni e troll c’è l’attrice Ingrid Bolsø Berdal, «voce» anche delle riflessioni del pittore (l’11 novembre uscirà per Donzelli La danza della vita. La mia arte raccontata da me, libro che raccoglie molti suoi testi: Munch non smise mai di scrivere, dalle lettere alle note di viaggio ai diari fino ai pensieri sul suo lavoro). Ma lo «spavento» fiabesco non è nulla di fronte alla realtà di un’infanzia costellata da scomparse dolorose, come quella della madre per tubercolosi (quando Munch aveva solo cinque anni) e poi dell’amata sorella Sofia, per la stessa malattia, mentre il padre cadeva in depressione e ai propri figli leggeva storie di orrore o di colpe e delitti (i romanzi di Dostoevskij).

«La bambina malata» (particolare)

Nonostante gli eventi tragici e la povertà economica – la famiglia viveva in una zona degradata, senza acqua corrente né bagni – i Munch appartenevano all’élite intellettuale, con un albero genealogico di sacerdoti, storici e letterati. Così Edvard fu libero di scegliere la sua strada artistica (aiutato da borse di studio statali), partendo proprio dal disegno de La bambina malata – Sofia -, suo primo capolavoro. Fu esposto in città insieme alle opere dei paesaggisti del’epoca e non venne compreso: risvegliava troppi demoni interiori. Per uscire dall’asfittico ambiente culturale di Oslo, Munch andrà a Berlino dove passerà notti alcoliche nella taverna «Il maialino nero» insieme a Strindberg e ad altri bohemiens, come il polacco Stanisław Przybyszewski, appassionato di satanismo e spiritismo.

Poco capito pure in Germania (ma tenuto d’occhio invece dalle avanguardie espressioniste), in ogni dipinto Munch proietterà le sue allucinazioni e paure, il senso panico della natura (L’urlo), la dissipazione carnale della sessualità, il «vampirismo» attribuito alle donne. Oltre a Tulla (che gli sparò troncandogli una falange del dito medio), c’è anche la musa e modella Dagny, uccisa per gelosia da un suo amante. Figure di un immaginario incendiario, portatrici di presagi nefasti, ma magnifici corpi indomiti.

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