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«La violenza si ritorce contro chi la genera». Haiti non piange Moïse

«La violenza si ritorce contro chi la genera». Haiti non piange MoïseLa polizia haitiana ieri davanti a un murale dedicato a Jovenal Moïse non lontano dalla sua abitazione – Ap

Dopo l’assassinio-choc del presidente, è il caos Stato d’emergenza e due presunti primi ministri in campo che rivendicano il potere. Uccisi quattro «mercenari» del commando omicida. Gli Usa pronti a «operare»

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 9 luglio 2021

Il popolo haitiano vive «movimenti di incertezza» ma «non piange». Perché, assicurano le forze sociali riunite in Alba Movimientos, l’assassinio del presidente de facto Jovenal Moïse «è uno di quei casi in cui la violenza si ritorce contro chi l’ha generata per primo», finanziando gruppi criminali allo scopo di soffocare la mobilitazione permanente delle classi popolari, come pure le proteste dell’opposizione e dell’insieme delle istituzioni dello stato.

MOLTO POCO SI SA ancora dell’attacco. Secondo la versione ufficiale, il presidente sarebbe stato ucciso da «mercenari professionisti» che si sarebbero presentati come agenti della Dea e si sarebbero poi scontrati con la polizia, la quale ne avrebbe abbattuti quattro e arrestati due. In ogni caso, se le conseguenze dell’omicidio sono ancora difficili da prevedere, il rischio è che il paese sprofondi ora ancora più nel caos.

DOPO L’ESECUZIONE DI MOÏSE, è stato il primo ministro de facto Claude Joseph ad autoproclamarsi presidente ad interim, convocando il consiglio dei ministri e proclamando lo stato d’assedio. Ma che il suo ruolo sia legittimo è assai discutibile. Tanto più che il 5 luglio il defunto presidente aveva provveduto a nominare un nuovo premier, Ariel Henry, il quale rivendica ora il suo diritto a guidare il governo, definendo per di più «frettolose» alcune decisioni di Joseph, a partire proprio dalla dichiarazione di stato d’assedio. «Non voglio spargere benzina sul fuoco – ha dichiarato Henry al quotidiano Le Nouvellliste -, ma la mia nomina è stata pubblicata dalla Gazzetta ufficiale e io stavo già formando un governo quando hanno attaccato la residenza presidenziale».

E ANCORA: «IL PRIMO MINISTRO sono io, mentre Joseph aveva riassunto la carica di ministro degli Esteri. Quindi secondo me non è più premier. O ci sono due primi ministri nominati in questo paese?», ha proseguito Henry auspicando un «accordo che ci permetta di preparare al meglio le future elezioni».

Di certo, però, chiunque dei due sostituisca il presidente assassinato dovrebbe passare per l’approvazione del parlamento, che tuttavia non è mai stato rinnovato a causa della mancata convocazione delle elezioni parlamentari al termine della legislatura nel gennaio del 2020.

Un vuoto istituzionale di cui Moïse – il cui mandato era scaduto il 7 febbraio scorso – aveva approfittato per mettere mano da solo alla riforma dello Stato e convocare illegittimamente le prossime elezioni: il referendum per l’approvazione di una nuova Carta costituzionale, inizialmente previsto per il 27 giugno ma poi rinviato al 26 settembre, e le elezioni legislative e presidenziali, previste per lo stesso giorno. Finché quel potere a cui era rimasto attaccato con le unghie e con i denti non ha dovuto cederlo nel peggiore dei modi.

SMENTITA INVECE LA MORTE della moglie, la quale, ferita nell’attacco e ricoverata in ospedale, «sta ricevendo le cure necessarie», come ha assicurato Joseph informando anche che i figli del presidente «sono in salvo».

Per nulla rassicurante, invece, è il fatto che gli Stati uniti, rilanciando «gli appelli alla calma», si siano detti pronti, per bocca dell’ambasciatrice presso l’Onu Linda Thomas-Greenfield, a «operare per sostenere la democrazia, lo stato di diritto e la pace ad Haití». Di che tipo di sostegno si tratti non possono infatti esserci dubbi, considerando come il «nèg banann», l’uomo delle banane – come il popolo chiamava l’imprenditore diventato presidente grazie a colossali brogli – sia sopravvissuto a mesi di rivolte popolari grazie proprio all’incrollabile appoggio degli Stati uniti, timorosi dell’avvento di un nuovo governo «castro-bolivariano», e del Core Group, il gruppo degli «amici di Haiti» di cui Usa e Ue fanno parte insieme ad altri paesi, rimasti volutamente ciechi dinanzi ai massacri, allo smantellamento delle istituzioni e al monumentale saccheggio delle casse dello stato.

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