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La via Crucis del quartiere di San Berillo a Catania

La via Crucis del quartiere  di San Berillo a Catania

Il Documentario Intervista a Maria Arena, autrice del documentario «Gesù è morto per i peccati degli altri», storie ricche di umanità

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 7 novembre 2015

Gesù è morto per i peccati degli altri, titolo azzeccato (come vedremo) che mutua da una vecchia battuta di Patti Smith («Gesù è morto per i peccati degli altri, non i miei), è stato un evento il primo novembre al Bella Basilicata Film Festival (e sarà al Med di Roma oggi alle ore 16, e poi al Kino di Roma il 19 e 20 novembre con la presenza della regista e di due delle interpreti). Un film di Maria Arena che colpisce nel segno, che mette ko qualsiasi atteggiamento antidemocratico verso i trans, i travestiti, le prostitute; che riapre le antiche questioni della vita, e della speculazione edilizia, nei quartieri vecchi delle nostre città (qui siamo a Catania, luogo d’origine della regista, nel quartiere San Berillo).

Un film documentario di 90 minuti, a basso budget (30mila euro), già uscito in proiezioni in alcune città ma che sta cercando di arrivare a un pubblico più vasto. La storia ha richiesto una lunga gestazione (5 anni), una lunga frequentazione del quartiere (2 anni), una condivisione di vita e di tematiche (la regista fa parte anche del comitato di rinascita di San Berillo). Scritto insieme a Josella Porto, con la musica di Stefano Ghittoni, il film di Arena è la storia di sette protagoniste – tra prostitute, trans, travestiti (Franchina, Meri, Marcella, Alessia, Wonder, Santo, Totino) – di uno dei mercati del sesso povero più grandi d’Europa nel quartiere catanese che vive nel degrado da più di 50 anni. Scandito in capitoli che rimarcano le stagioni dell’anno, il viaggio dentro San Berillo è uno spaccato forte ed emozionante, privo di qualsiasi moralismo, attento agli aspetti umani delle vicende, intrecciato con le questioni politiche e sociali, spiazzante sugli interrogativi più radicali e complessi dell’animo umano.

 

Si veda il personaggio di Franchina con le sue domande mistiche ma dottissime sul rapporto tra corpo svenduto e approccio al discorso e alla vita del Nazareno («Quando degrado il mio corpo su questo letto con il mio cliente sento di raggiungere quello che diceva Gesù a proposito delle prostitute»). Dopo la proiezione al cineteatro Periz di Bella (Pz) abbiamo avuto un colloquio con Maria Arena che ha alle spalle, prima di questo intenso lungometraggio, una produzione di corti (su Goliarda Sapienza, ad esempio) anche nell’ambito della videoarte. «Non volevo fare un film scandalistico, assolutamente – inizia la regista – Per questo non si vedono mai nel documentario le protagoniste a letto con i loro clienti. Il mio lavoro di questi anni è stato quello della ricerca artistica, cioè di tenere vive le domande su di loro».

Nel film colpisce il rapporto assolutamente tangibile con la realtà circostante con una solidarietà priva di bigottismi, e nello stesso tempo c’è un rapporto col sacro che sconvolge per molti aspetti. «Nel 2010 avevo visto la Via Crucis nel quartiere e mi colpì. Così come colpì la mia curiosità il rapporto di Franchina con i testi teologici, con i discorsi evangelici. Per me è un’emozione sentire lei che parla del corpo in quel modo. Le protagoniste del mio film hanno partecipato a corsi per badanti quindi per inseguire un altro mestiere, ma non è andata come doveva andare. Qualcuno ha cambiato lavoro: per esempio Wonder adesso non esercita e lavora in un negozio. Qualcun’altra esercita sempre sotto il cavalcavia ed è davvero una vita dolorosa. Per Franchina le cose sono diverse. Certo nel film racconta che sogna un affetto stabile e forte, ma è proprio il rapporto con l’idea di prostituzione ad essere diverso, come se dominasse, anche in termini religiosi, la cosa e quindi non avesse interesse ad uscirne. Questo quartiere è stato off limits nella città, un ghetto. Ma adesso c’è una voglia di lottare e una ripresa di recupero sociale. Per questo mi piacerebbe girare il mio prossimo lungometraggio, stavolta nello stile di una commedia amara (il titolo è Dopo la tempesta), con gli stessi interpreti di questo».

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