Racconti su commissione (7) Come affrontai per tre volte la vertigine del doppio precipizio.

Stefano Casi mi ha commissionato tempo fa un testo sul ‘precipizio’.

Parte Prima.
Avevo sei anni. Vivevo in un paesino della Calabria ionica. Era una limpida mattinata del 1954. Camminavo verso il mare, e mi sono trovato in mezzo a un doppio precipizio.
Mi guardo indietro, e vedo distintamente il precipizio della comunità, il paesino disteso quietamente sotto il Sole, l’abbraccio avvolgente della famiglia, della scuola elementare, degli amici occhieggianti, e l’orizzonte limitato dalla corona delle montagne insormontabili. Ah! starsene insieme, come niente altro che semplice rotella ingranata nel tutto, smarrirsi nell’infanzia protetta delle partitelle a pallone senza fine e senza tempo, restare con le ginocchia eternamente scorticate, certo e fermo come un albero radicato nella terra dura! Perdersi nelle voci che non mutano, nelle cantilene e nei rumori che si ripetono e rimandano, discendere le timpe verso i ruscelli gorgoglianti, seguire gli odori rubati dalle cucine, rinserrarsi sotto gli archi di luci crepitanti delle feste in piazza, farsi rapire dall’estasi pomeridiana nei cinematografi, accoccolarsi in circolo intorno ai bracieri, dietro i muretti di pietre e calce, in mezzo ai cortili, in righe immobili sui banchi di legno dipinto di nero, coi grembiuli neri i fiocchi azzurri e i tondi colletti bianchi, aspettando il premio e il castigo del maestro, del padre violento e imperscrutabile, della guardia municipale. Sì, tornare indietro, e stringersi!

Ma di fronte al precipizio della terra, della comunanza di odori e sensazioni, ecco spalancarsi il precipizio del mare, il precipizio della solitudine. Avanzare inquietamente, partire, dividere, diventare grande, un altro, abbandonare tutti, tutto. Trasformarsi irrevocabilmente in vertice inaccessibile, in albero che s’invola come un aquilone dal filo spezzato, sotto la spinta e il fremito delle foglie, che diventano ali, remi, e ritrovarsi in forma di tronco che si perde nelle onde, diventare pesce, e uccello, nuvola leggera del cielo a pecorelle. Scoprirsi solo, lontano e in alto, trasvolare l’orizzonte aspromontano, provare l’orgoglio e il dolore della solitudine. Ecco! fra la terra e il mare un treno fischia, fuma, grida, esalta, chiama.
(segue)