La verniciata di verde che nasconde il nero dei combustibili fossili
Cambiamento climatico Le due o tre cose che non tornano nell’annunciata superproduzione (e riconversione) di Co2 da parte delle compagnie petrolifere. La via maestra resta l’economia circolare
Cambiamento climatico Le due o tre cose che non tornano nell’annunciata superproduzione (e riconversione) di Co2 da parte delle compagnie petrolifere. La via maestra resta l’economia circolare
Dopo 50 anni a negare e a seminare dubbi sulla CO2 come causa del cambiamento climatico, elargendo cospicui fondi per pseudo scienziati compiacenti e politici senza scrupoli, le grandi compagnie del petrolio e del gas finalmente non negano più, anzi hanno cominciato massicce campagne pubblicitarie per mostrare come anche loro sono diventate verdi. Ce ne siamo accorti anche noi, in Italia, con la campagna dell’Eni. Nello stesso tempo, però, contraddittoriamente, investono in progetti di espansione dell’estrazione di idrocarburi. Non fa eccezione l’Eni, che nel piano strategico 2021-2024 sostiene che “le attività di esplorazione rappresenteranno un fattore distintivo, l’elemento principale nella diversificazione di Eni verso un maggior contributo del gas, che a lungo termine rappresenterà oltre il 90% della produzione di Eni”. Naturalmente spruzzando anche un po’ di fotovoltaico, eolico, bioraffinerie e nuove foreste per dare la verniciatura verde. Tutto questo in un mondo impegnato ad azzerare le emissioni entro il 2050.
Ma come è possibile azzerare le emissioni di CO2 e contemporaneamente aumentare la produzione, e quindi il consumo, di fonti fossili? Semplice, ci dicono le compagnie del petrolio e del gas, con il Ccs (Cattura e Stoccaggio del Carbonio). Funziona così. Si prendono i fumi che escono dalle ciminiere delle centrali elettriche e delle fabbriche, se ne estrae la CO2 pura, che viene iniettata in profondità sottoterra, dove esiste uno strato roccioso di copertura impermeabile. E si può pure produrre quanto idrogeno si vuole dal metano, tanto la CO2 che deriva dal processo si sotterra. L’Eni, per esempio, prevede di sotterrare 7 milioni di tonnellate di CO2 all’anno al 2030 e 50 milioni al 2050. L’operazione è molto costosa, richiede grandi quantità di energia e prodotti chimici. Ma, ci dicono le compagnie, è solo questione di tempo e di scala, e i costi diminuiranno. E poi, aggiungono, si tratta di una azione così meritoria ai fini del controllo delle emissioni, che è giusto un forte sostegno finanziario pubblico.
Resta però da risolvere un problema per completare l’opera. Come si fa a prendere la CO2 da ciascun tubo di scappamento di veicolo o da ciascun camino di impianto di riscaldamento? Impensabile, ovviamente. Allora si estrae la CO2 direttamente dall’aria e la si inietta sottoterra. Si chiama Dac (Cattura Diretta dall’Aria) questa tecnica, ed è già in fase avanzata di sperimentazione in molti luoghi nel mondo, Italia inclusa. In questo modo si sotterrano tutte le emissioni dei trasporti e del settore edilizio, e il gioco è fatto. Non occorre più ridurre l’uso di combustibili fossili, perché non fanno più danno; anzi, aumentiamo pure i consumi di energia, perché tanto poi sotterriamo la CO2. C’è di più, si può addirittura, con il Dac, estrarre dall’aria più CO2 di quanta se ne immette, e così diminuire la concentrazione di CO2 in aria. Favoloso, no? E tutto questo grazie alle benemerite compagnie petrolifere e del gas che hanno i loro bravissimi geologi e tecnici che permettono di sotterrare tutta la CO2 che vogliamo.
Certo, alcuni uccellacci del malaugurio dicono che prima o poi (fra 100 e i 300 anni, secondo le stime) i luoghi in cui si potrà sotterrare in sicurezza saranno saturati e non avremo più dove mettere la CO2, ma che importa? Fra cento o trecento anni la genialità umana risolverà il problema, e poi, non ricordo chi lo ha detto, sarà stato sicuramente un azionista: perché mai dovrei fare qualcosa per i posteri? Cosa hanno fatto loro per me?
Insomma, ci dicono le compagnie petrolifere e del gas, non dovete preoccuparvi di niente, noi riusciremo a lasciare che le vostre vite scorrano come sempre, senza nessun fastidioso cambiamento. E vi facciamo pure sparire il riscaldamento globale. Dobbiamo essere contenti, e riconoscenti, noi abitanti di questa Terra.
Ecco come si spiegano gli investimenti in nuove prospezioni: si prevede un aumento dei consumi di combustibili fossili, non una diminuzione, con un doppio vantaggio per le compagnie: guadagnano vendendo il combustibile e guadagnano sotterrando la CO2, killer e becchino. Gli azionisti non possono non essere soddisfatti. Va tutto bene allora? Non esattamente, e ci sono almeno due ragioni per cui non va affatto bene.
La prima ragione sta nei rischi che si corrono con lo stoccaggio sottoterra della CO2. Non è sicuro che resti lì. Può percolare attraverso lo strato roccioso di copertura, può migrare lungo una frattura o una zona permeabile, può passare attraverso o lungo il pozzo di iniezione, o altri preesistenti.
C’è quindi il rischio che questa CO2, nel tempo, torni in atmosfera, se il fenomeno è lento. Se poi il fenomeno è rapido, come nel caso di una crepa che si apre, spontaneamente o a causa di un terremoto o di una azione terroristica, ci sono anche rischi diretti, per la nostra salute. Il motivo è che l’anidride carbonica si accumula a livello del suolo perché è più pesante dell’aria. Ebbene, concentrazioni di CO2 superiori al 7%-10% rappresentano una minaccia immediata per la vita umana: causano narcosi con delirio, sonnolenza e coma. Concentrazioni superiori portano all’asfissia, basta il 15%. È già successo, nel 1986, a causa del rilascio improvviso di CO2 dal fondo di un lago vulcanico in Camerun: più di 1700 persone sono morte.
Da notare, inoltre, che l’iniezione di CO2 sottoterra potrebbe innescare piccole attività sismiche, e non irrilevanti sono poi gli impatti sugli ecosistemi. Non sarà facile convincere la gente a farsi mettere la CO2 sotto i piedi.
Naturalmente, perdite catastrofiche sono improbabili se i siti sono ben selezionati, gli operatori sono competenti e i pozzi sono adeguatamente sigillati, ci assicurano i geologi. Ma improbabile non significa impossibile, vedi Three Miles Island e Fukushima.
La seconda ragione, la più importante, non è una ragione tecnica o tecnologica, e si può sintetizzare nella contraddizione intrinseca fra il sotterramento della CO2 e i principi dell’economia circolare. Bruciare combustibile, usare l’energia prodotta e poi sotterrare la CO2 che deriva dalla combustione è in linea col principio estrai-costruisci-usa-getta che ha portato l’umanità alla situazione in cui oggi si trova. Per essere invece in linea con i principi dell’economia circolare, che è uno dei pilastri del Green Deal Europeo, la CO2 dovrebbe tornare ad essere utilizzata. Quindi accettabile è solo il cosiddetto Ccu (Cattura e Utilizzazione del Carbonio). Se la CO2 viene dalla combustione di combustibile fossile, la sola utilizzazione che non contraddice i principi dell’economia circolare è la sua trasformazione in un qualche prodotto utile, così il carbonio, congelato in un materiale (per esempio cemento), viene ri-immesso in un ciclo di materiali e non in aria. Se invece la CO2 proviene da un sistema Dac, miscelandola con l’idrogeno verde si possono fare combustibili sintetici a emissioni zero. O se la CO2 si trasforma in un prodotto utile, si ha una riduzione della sua concentrazione in aria.
La strada maestra, ce lo dice la scienza e l’Europa ne ha preso atto, è quella dell’economia circolare, e nell’economia circolare il Ccs non dovrebbe avere diritto di cittadinanza.
Per questo l’Europa, non essendo riuscita a resistere pienamente alle pressioni delle lobby delle compagnie del petrolio e del gas, limita lo stoccaggio e l’utilizzazione della CO2 come azione transitoria “laddove non siano disponibili possibilità di riduzione diretta delle emissioni”, e nella risoluzione del Parlamento europeo del 10 febbraio 2021 sul nuovo piano d’azione per l’economia circolare “ribadisce tuttavia che la strategia Ue di azzeramento delle emissioni nette dovrebbe privilegiare la riduzione diretta delle emissioni”.
Bene farebbero, nel nuovo ministero della Transizione Ecologica, a tenerne conto e a resistere alle pressioni dei sotterratori, costringendoli invece a investire nella ricerca e sviluppo di soluzioni volte a una vera transizione ecologica.
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