Non obiettori, la verità vi prego sulla 194
Sanità e diritti Da tempo si discute di come applicare meglio la legge sull’aborto, ma il confronto sembra limitato a soluzioni organizzative. E si è subito arenato davanti al tabù dell’obiezione di coscienza
Sanità e diritti Da tempo si discute di come applicare meglio la legge sull’aborto, ma il confronto sembra limitato a soluzioni organizzative. E si è subito arenato davanti al tabù dell’obiezione di coscienza
Per un po’ abbiamo pensato che la nostra coerenza potesse vincere tutto, e per sempre. Da tempo, però, l’applicazione della 194 si ritorce, come abbiamo visto, contro i pochi non obiettori rimasti. Storie simili a quelle di Rossana Cirillo sono la regola in molti ospedali, con la paura di ritorsioni, la penalizzazione della carriera e l’imbarazzo per episodi simili a quelli raccolti da Chiara Lalli («La verità vi prego sull’aborto»). La speranza, dice Ivan Cavicchi, è che stavolta altre voci si facciano sentire, che non cali la tensione passata la notizia.
Di questa legge si parla, a corrente alternata, da tempo, ma un miglioramento nell’applicabilità sembra limitato a soluzioni organizzative (mobilità, incentivi a vario titolo), e subito arenato di fronte al tabù dell’obiezione di coscienza. «Noi non c’eravamo, ma ce lo hanno raccontato. Nel 1978, per la prima volta in ambito medico, veniva richiesta agli operatori del Ssn una prestazione fino ad allora non prevista dal loro contratto. Da quel momento in avanti chi ha scelto di fare il ginecologo sapeva benissimo che avrebbe dovuto fare i conti con l’interruzione di gravidanza. La domanda che ci siamo poste, ancora studentesse di medicina, non era “Obietto o non obietto?”, bensì “Faccio la ginecologa o no?”, ben sapendo che scegliere di fare la ginecologa significa sapere stare al fianco delle donne in qualsiasi situazione, perché la ginecologa è il medico della donna, non dell’embrione, non del feto, non del bambino». Roberta, Francesca, Mariangela, specializzande degli ultimi anni, così giovani, salomonicamente, hanno scelto di accompagnare le donne proprio nell’accidentato percorso della competenza riproduttiva, così potente e ancora così misteriosa, che appare e scompare a dispetto di desiderio, contraccezione, prevenzione, come ben sa anche chi si occupa di infertilità.
Negli anni abbiamo visto obiettori assunti come non obiettori, obiettori di fatto di cui sappiamo perché lo dichiarano, non perché siano pubblici (o pubblicabili) i loro nomi. Negli anni abbiamo rispettato tutti i tipi di obiezione, ma è del diritto ad essere non obiettori con la stessa dignità di quello ad essere obiettori che occorre parlare, visto che oggi sembra più difficile applicare la 194 che vanificarla nei fatti. In attesa di una più ampia discussione del problema nelle sedi opportune, cui noi stessi non vorremmo sottrarci, ci piacerebbe, con Cavicchi, che a livello politico gestionale le Regioni fossero tenute, davanti ai propri elettori, a garantire tutti i diritti, dei curati e dei curanti, così come sono tenute ai piani di rientro. Si legge di proposte di creazione di unità ad hoc (qualcuna già esistente) dirette da ginecologi non obiettori. Ma il rispetto della legge 194 non è che una parte del nostro lavoro, e paradossalmente questo ci condurrebbe ad una ghettizzazione ancora più vistosa. Per questo ogni qualvolta una delle associazioni a difesa della 194 promuove l’ennesimo convegno, ecco la nausea: è d’obbligo parlare di cifre, di quante interruzioni facciamo noi che facciamo interruzioni. Non abbiamo bisogno, nell’impegno quotidiano, che, dal ministro a qualche assessore a qualche sindacalista “di sinistra”, ci si organizzi la lista operatoria o la mobilità (quale riconoscimento migliore alla nostra “ostinazione” nella applicazione di una legge dello stato?) come soluzione alla incapacità di inquadrare la 194 nell’ambito della più ampia governabilità del Sistema sanitario e della Sanità del paese. Amministratori e politici sostanzialmente assenti, improbabili fautori di quel percorso nascita a parole tanto sbandierato, incuranti della vertiginosa discesa dell’indice di fertilità in pochi decenni, parlano di “diritti”(la 194 non si tocca, potenziare la prevenzione, prevenire le “recidive” delle Ivg, ecc.), senza riflettere su quanto siano lontani dalla vita reale, su quanto sia complesso averci a che fare, con quelle competenze: concepire, partorire, allevare un bambino, rimandare, non avere paura della maternità. Di che cosa ci sia prima e dopo quella scelta – o non scelta – in termini di costi, di bisogni in gravidanza e dopo, di come si possa lavorare, e con chi, intorno a politiche globali, e culture, e impegni istituzionali, per facilitare quelle nascite, e quei parti che a parole vorremmo spontanei (l’endemia dei tagli cesarei in Italia si risolve periodicamente in commissioni ministeriali che registrano l’esistente dal punto di vista delle Società scientifiche, e in azioni lasciate al buon cuore di queste ultime, che garantiscono, a proclami incrociati, che i tagli cesarei si azzereranno quando saranno chiusi tutti i presidi al di sotto dei 500 parti, e risolti i timori medico legali).
Che fare? In un momento di mediocrità della politica, e di assenza di politiche, crediamo che proprio a proposito di temi come la maternità responsabile e l’aborto, una presenza “forte” della Fnomceo (la federazione degli ordini dei medici) può fare la differenza. L’epilogo della storia professionale della mia collega è una triste ferita anche per l’Istituto presieduto con passione da un medico che di diritti se ne intende e che è oggi impegnato nel difficile compito di portare anche in Parlamento gli imperativi di equità, universalità, deontologia della cura. Certo, il momento storico non è il più adatto a guerre di religione, e noi siamo i primi a non volerne: dopotutto siamo noi che impediamo giorno per giorno che nelle regioni in cui lavoriamo, le Asl non vadano a finire sui giornali (e lo dimostriamo nei Pronti soccorsi, negli ambulatori, in un momento in cui si parla degli ospedali solo come un peso).
Non si vuole toccare la 194, nessuno lo vuole, in teoria. E’ doveroso però scoprire il bluff degli annunci di prevenzione, sicurezza, accoglienza, e riconoscere ai medici non obiettori la dignità di guardare negli occhi le donne reali: quelle incontrate nelle sale parto, posteggiate nelle sale d’aspetto o arrivate nelle sale operatorie: non (solo) per evitare, ma anche per com-prendere, com-patire, esserci. Il nostro mestiere, d’altronde. Crediamo che a nessun organismo meglio dell’Ordine dei medici, per quanto composita sede di mediazioni, si possa chiedere, massimamente insieme alla sua componente femminile, di farsi interprete delle complesse ragioni della maternità da tradurre nella ragione della politica .
*Ginecologa ricercatrice Università degli studi di Genova
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