Visioni

La vegetariana, il senso del limite prima di perderci

La vegetariana, il senso del limite prima di perderciDaria Deflorian, Gabriele Portoghese, Monica Piseddu in "La vegetariana" – foto di Andrea Pizzalis

A teatro Daria Deflorian e Francesca Marciano curano l’adattamento dell’omonimo libro di Han Kang

Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 2 novembre 2024

Ho fatto un sogno, dice Yeong-hye. Partono da lì, da un misterioso sogno, le «scene dal romanzo di Han Kang» intitolato La vegetariana, nella regìa di Daria Deflorian che ne è anche interprete (fino a domani a Roma, teatro Vascello, per RomaEuropa festival, dopo il debutto all’Arena del sole). Una donna insignificante l’ha sempre giudicata il marito, il primo a presentarsi di fronte agli spettatori, in quello spazio nudo di un grigiore tristissimo. Due pareti che convergono in una prospettiva interrotta dal fondale, un neon in alto e nient’altro. Un uomo tenacemente qualsiasi, così dice di sé il marito. Dall’esistenza scrupolosamente ordinata, l’ha sposata proprio perché l’ha sempre giudicata insignificante. Mai follemente innamorati, senza figli. Fino a quel giorno. Erano le quattro del mattino.

HO FATTO un sogno, altro non dice Yeong-hye. Però intanto la giovane donna è apparsa sulla scena, evocata dalla memoria dell’uomo. Tutto qui si coniuga al futuro anteriore. Ha cominciato a spargere sul pavimento le confezioni di carne conservate nel frigorifero e seduta per terra le infila in un sacco della spazzatura. Manzo, maiale, pezzi di pollo, persino una costosa anguilla di mare – commenta l’uomo desolato. Tu sei fuori di testa. Adesso in tavola lei porta soltanto insalate o zuppe di alghe. Ha eliminato anche il latte e le uova. Da un lato si apre una parete a rivelare l’interno della stanza da bagno, che è un poco il luogo dell’interiorità. Da lì finalmente Yeong-hye può dare parole al sogno che ha fatto. Una foresta buia. Ha freddo. Da una lunga canna di bambù pendono enormi quarti di carne rosso sangue. D’improvviso voci di bambini, famiglie che fanno il picnic. Carne che cuoce sul barbecue. Lei ha raccolto da una pozzanghera un pezzo di carne cruda e se l’è ficcata in bocca…

L’adattamento che dal romanzo ha tratto Deflorian insieme a Francesca Marciano ha conservato la scansione in tre parti, qui contrassegnate ciascuna da un colore che corrisponde allo sguardo delle tre figure che osservano la silenziosa protagonista. Vorrebbero raccontarla ma in realtà finiscono per raccontare soprattutto sé stessi. Non personaggi con un nome proprio ma situazioni, quando hanno esaurito la loro funzione scompaiono di scena. Rosso per il marito, il rosso del sangue della carne di cui si è già detto. Azzurro chiaro per il cognato, videoartista in crisi creativa eccitato dall’ombra violacea della macchia mongolica che lei ha sulla coscia, vuole riprenderla mentre le dipinge di fiori il corpo nudo, poi le cose vanno oltre. Verde per la sorella, come le foglie degli alberi, l’erba, la natura in cui si nasconde, quando ormai Yeong-hye ha rinunciato al suo lato animale e vi avvia alla metamorfosi vegetale di Daphne. Sono nell’ordine Gabriele Portoghese, Paolo Musio e come si è detto la stessa Daria Deflorian. Lei invece lì c’è sempre, a differenza del romanzo di Han Kang. Lì vuol dire la casa dove vive con il marito, quella del padre che a forza vuole costringerla a mangiare la carne che lei rifiuta, la clinica psichiatrica dove è stata rinchiusa dopo un tentativo di suicidio.

SI SVESTE e riveste, resta spesso con poca roba addosso. Si siede per terra a sbucciare delle patate. Subisce con indifferenza il sesso che rifiuta e le è imposto dal marito su un materasso tirato su in verticale, contro una parete, come una vista in proiezione ortogonale che rende l’atto ancor più innaturale. I sogni che racconta sono piuttosto incubi, traumi infantili che riemergono. Riflettono la violenza che lei sente nel mondo, che ha sperimentato sulla sua pelle, di cui non riesce a essere solo spettatrice distratta. A dirlo è il corpo aspro di Monica Piseddu, bella prova davvero la sua.

 

Secondo la mitologia dei Beatles, Paul McCartney compose in sogno Yesterday. La si ascolta a un certo punto, la canzone, appena percepibile nella distanza. Yesterday, all my troubles seemed so far away. Forse anche questo è un sogno e dentro un sogno tutto sembra un sogno. Forse prima o poi ci sveglieremo… La vegetariana, lo spettacolo, termina così, con tre punti di sospensione. Han Kang ha vinto quest’anno il premio Nobel per la letteratura.

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