Il turismo di massa, assieme al cambiamento climatico, è uno dei fattori che stavano per far inserire Venezia nella black list dei siti Patrimonio dell’umanità a rischio a causa del deteriorarsi della situazione ambientale. Pochi giorni fa la decisione dell’Unesco che ha graziato la città lagunare.

CIÒ NON TOGLIE che il turismo, per come si sta configurando, è un fenomeno alla stregua di un uragano, una catastrofe in grado di compromettere l’integrità artistica e culturale di un luogo. Ma la turistificazione che aggredisce le nostre città storiche non è inevitabile come un fenomeno naturale: per quanto sia diffusa e pervasiva la retorica della «vocazione turistica» dei territori, lo sviluppo turistico è uno nostro prodotto, frutto di scelte culturali, politiche ed economiche. È una delle premesse del libro Le Case degli altri. La turistificazione del centro di Napoli e le politiche pubbliche al tempo di Arbnb (Editpress) dell’architetta urbanista Alessandra Esposito.

NAPOLI AL MOMENTO in numero di annunci offerti su Airbnb ha superato Venezia e della sua rapida turistificazione si è scomodato a parlare anche Le Monde. Il titolo del libro rimanda a un aspetto specifico del turismo, ovvero l’uso del patrimonio abitativo. Napoli con il suo sviluppo turistico relativamente nuovo (dal 2015) risulta particolarmente stravolta da quell’uso delle abitazioni residenziali che si è diffuso con il lancio delle piattaforme digitali come Arbnb. Le case degli altri sono quelle degli abitanti storici della città, che messe sul mercato offrono al turista la possibilità di vivere un’esperienza più autentica soggiornando nella «casa nella quale vivrebbe – o di fatto forse viveva fino a poco prima – un abitante». Al di là della discutibile mercificazione del senso di appartenenza, quella che nel libro viene definita «la turistificazione del residenziale» ha preso piede a Napoli in maniera estremamente rapida, determinando l’ulteriore peggioramento di un disagio abitativo molto più grave rispetto ad altre città italiane.

I DATI DELLA CAVALCATA delle locazioni turistiche proposte on-line sono impressionanti: nel giro di 5 anni gli annunci nella città partenopea sono aumentati del 551%. Se nel 2015 sulla piattaforma si trovavano meno di duemila alloggi in locazione nel centro di Napoli, nel 2019 l’offerta sfiorava i novemila; la gestione degli immobili inoltre diventa più concentrata, circa il 60% degli host ha più di un annuncio. Le aree più interessate sono quelle che ricadono all’interno del perimetro Unesco, che per Napoli, città il cui nucleo storico è in pessimo stato di conservazione, ha significato la sottrazione di spazio abitativo, l’aggravamento delle condizioni di sovraffollamento e l’aumento di quotazioni di mercato delle locazioni e la conseguente espulsione degli abitanti storici.

RISULTATO, ANCHE LA NAPOLI ribelle, autonoma e antiliberista suggellata dal sindaco De Magistris, ha divorato sé stessa cercando il riscatto attraverso uno sviluppo turistico non socialmente sostenibile perché anziché scardinare la polarizzazione sociale, tende a spettacolarizzarla (i «bassi», gli asfittici vani al pianoterra dove arrivano a vivere anche 4 persone in 40 mq riproposti come «deliziose abitazioni tipiche») oltre che acuirla, aumentando le disuguaglianze sociali.

MA NON SI ARRIVA A comprendere fino in fondo la gravità del problema se non si inquadra il ruolo che Airbnb e piattaforme simili hanno nell’ incoraggiare ulteriormente quel vecchio e parassitario strumento su cui si basa l’economia urbana in Italia: la rendita. Basta un annuncio per aumentare il valore di un immobile, che si sostituisce allo stipendio. Mettere in correlazione i processi di turistificazione con i meccanismi della rendita è uno dei pregi del libro, in quanto permette di chiamare in causa l’urbanistica e gli strumenti di pianificazione del territorio che sono più che mai urgenti in un contesto, in cui allo stato attuale esistono solo politiche pubbliche volte all’aumento del turismo e non al suo controllo.