La triste «Semana santa» di Puigdemont: resta in carcere in Germania fino alla sentenza
Crisi Catalana Così ha deciso l'Alta corte dello Schleswig-Holstein in attesa del verdetto sul rimpatrio forzato atteso non prima di Pasqua. Il quesito cui resta appesa l’estradizione è se verrà riconosciuta l’accusa di «ribellione» dei giudici di Madrid (paragonabile al «paragrafo 81» del codice penale tedesco che però presuppone l’uso della violenza) o sussumerà il reato di «appropriazione indebita di beni pubblici» allegato al mandato di arresto europeo
Crisi Catalana Così ha deciso l'Alta corte dello Schleswig-Holstein in attesa del verdetto sul rimpatrio forzato atteso non prima di Pasqua. Il quesito cui resta appesa l’estradizione è se verrà riconosciuta l’accusa di «ribellione» dei giudici di Madrid (paragonabile al «paragrafo 81» del codice penale tedesco che però presuppone l’uso della violenza) o sussumerà il reato di «appropriazione indebita di beni pubblici» allegato al mandato di arresto europeo
Una cata-rogna per la Germania. Deflagra a Berlino il caso politico di Carles Puigdemont, dalle 12 di domenica rinchiuso nel carcere di Neumünster dopo il suo arresto al confine con la Danimarca. E “scoppia” la questione giuridica sulla sua estradizione a Madrid in base alle regole del mandato di arresto europeo e le norme della legge tedesca.
Ieri a Kiel il presidente della Generalitat è comparso per l’incriminazione formale davanti all’Alta corte dello Schleswig-Holstein, cui spetta il verdetto sul rimpatrio forzato atteso non prima di Pasqua. I giudici tedeschi gli hanno esteso la custodia cautelare fino alla sentenza sull’estradizione. Ma Puigdemont è comunque destinato a rimanere nella Repubblica federale almeno per altri due-tre mesi, come conferma il suo avvocato Jaume Alons Cuevillas in parallelo alla mancata presentazione della richiesta di asilo.
Tempo più che sufficiente a far brillare la questione catalana nella Germania appena stabilizzata dalla formazione del governo con la gestazione più lunga della storia. Con il Paese stretto tra l’incudine del governo Merkel saldamente ancorato alla linea filo-Rajoy e le martellate dell’opposizione, a partire dalla Linke, sulla barricata contro la riconsegna a Madrid del presidente catalano.
Anche se a Berlino rimane insoluta la fondamentale domanda (dopo quella della polizia dello Schleswig-Holstein che a caldo si lascia sfuggire: «perché Puigdemont non è stato fermato dai colleghi danesi?» nonostante la ricostruzione più accreditata parli di «opportunità preferita dai servizi segreti spagnoli»). Il quesito, in punta di Diritto, cui resta appesa l’estradizione è se la Germania riconoscerà l’accusa di «ribellione» dei giudici di Madrid (paragonabile al «paragrafo 81» del codice penale tedesco che però presuppone l’uso della violenza) o sussumerà il reato di «appropriazione indebita di beni pubblici» allegato al mandato di arresto europeo. Oppure, improbabilmente, sceglierà di seguire l’esempio di Belgio e Finlandia che hanno lasciato libertà di movimento a Puigdemont. Opzione difficile, soprattutto alla luce dell’alleanza di ferro tra Berlino-Madrid sull’asse politico social-democristiano. «La Spagna è uno Stato costituzionale democratico. Negli ultimi mesi abbiamo sostenuto con chiarezza la posizione del suo governo per garantire l’ordine giuridico» è l’inflessibile linea della cancelliera Angela Merkel espressa ieri ufficialmente via portavoce. Il suo esecutivo, sul punto, rimane irremovibile come dimostra l’«aspettiamo, vediamo» appena pronunciato dalla neo-ministra Spd della Giustizia Katarina Barley.
Guastare la liason politica ed economica con il governo di Mariano Rajoy, alleato di Merkel nel Ppe, non conviene e neppure si può, alla luce del ruolo appena restituitogli. Proprio giovedì il Consiglio europeo ha affidato la nevralgica vicepresidenza della Bce di Francoforte all’ex ministro delle Finanze spagnolo, Luis de Guindos che entrerà in carica il primo giugno. Nel Board della Banca di Mario Draghi non succedeva dal 2012 e dimostra il pieno appoggio di Berlino alla Spagna. Fedeltà al progetto europeo germano-centrico in cambio di sostegno a non internazionalizzare oltre il “palco” di Bruxelles la causa indipendentista. Un patto sulla risoluzione del conflitto catalano «da risolvere entro la Costituzione spagnola e con decisioni spettanti ai reciproci ordinamenti di giustizia, come prevede il mandato di cattura europeo» riassumono alla cancelleria.
Giustificazione insufficiente per la Linke, che ieri ha chiesto di non consegnare il politico catalano alle autorità di Madrid: «Non bisogna condividere la sua posizione per stabilire che il suo arresto è completamente sbagliato. Puidgemont non può essere consegnato alla Spagna» spiega Bernd Riexinger; mentre la co-leader Katja Kipping mette la Groko di fronte all’alternativa «continuare ad appoggiare la violazione dei diritti in Catalogna o fare in modo che Merkel spinga l’Ue a una soluzione politica».
In ogni caso l’iter sull’estradizione «probabilmente non si concluderà prima di Pasqua» ipotizza Wiebke Hoffelner, procuratore generale dello Schleswig-Holstein. Di base c’è il termine di 60 giorni per la custodia cautelare: il tempo per il tribunale di Kiel di verificare «se l’atto è punibile in Germania» come precisa su Der Spiegel, Martin Heger, professore di diritto all’Università Humboldt di Berlino. «Se Puigdemont riterrà che la sentenza tedesca sarà ingiusta potrà ricorrere alla Corte di giustizia europea per violazione della convenzione sui diritti umani» aggiunge Heger delineando l’ultima spiaggia per il presidente catalano. La penultima, è l’accoglimento della Corte suprema dello Schleswig-Holstein della linea della sua difesa che fa perno sulle scarse garanzie del processo spagnolo. Una possibilità solo teorica.
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