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La transizione di Draghi e le difficoltà di un centrosinistra in surplace

La transizione di Draghi e le difficoltà di un centrosinistra in surplaceMario Draghi – Lapresse

Scenari La responsabilità di sbloccare lo stallo dipende dalle forze dell’ex governo Conte. L’area più colpita dalle trasformazioni di questi anni. E con il rebus della legge elettorale.

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 20 aprile 2021

Troppe incertezze gravano oggi sulla politica e sulla società italiane. La pandemia e come ne usciremo, un sistema elettorale non definito e sempre accroccato a ridosso delle elezioni, un sistema istituzionale e di articolazione dei poteri fragile di fronte ad ogni prova, un assetto dei partiti sempre sospeso tra vecchio che non muore e nuovo che non nasce. La degenerazione populista è insieme effetto e causa di questo status. Per quanto tempo si trascinerà questa situazione? E che piega potranno prendere gli eventi? Il governo Draghi potrà svolgere una funzione di transizione per un passaggio al postpopulismo e l’apertura di una nuova fase di stabilizzazione dell’assetto politico istituzionale su nuove relazioni tra i partiti e tra essi e la società? Si è parlato, in questo senso, di possibili processi di scomposizione e ricomposizione. Certo sarebbero necessari.. Ma sono di una difficoltà enorme. Perché i processi necessari sono concatenati e chi si muove per primo rischia di più.

La situazione somiglia sempre di più a quelle gare ciclistiche in cui tutti si fermano in equilibrio instabile aspettando che l’altro lo perda e parta per accodarsi e faticare di meno. Ma quanto può durare?
Intanto le due squadre più grandi non sono nella stessa posizione. Quelle di centro destra hanno un triplo vantaggio: sono maggioritarie, hanno proceduto ad un primo riequilibrio di forze tra più radicali e piú moderati, hanno una relazione più diretta con le forze sociali ed i territori di insediamento.

Quando Salvini e la Meloni parlano toccano problemi che i loro elettori sentono, che loro sanno alimentare e sfruttare. Insomma, spiace dirlo, ma nei fatti l’articolazione di questi due soggetti é più rispondente ai loro corpi elettorali. Quello del mondo imprenditoriale si è disarticolato tra settori che sopravvivono alla crisi ed addirittura ci sguazzano e settori perdenti, soprattutto nei servizi, fortemente colpiti. Ma le loro rappresentanze riescono a cavalcare le diverse spinte e ad intestarsi risultati a favore dei loro rappresentati. Hanno introdotto a pieno titolo nella vita politica la tecnica contrattuale: denuncia, avversario, azione, lotta, risultati, loro valorizzazione.
Nella restante area che definiamo di centro sinistra per differenza, il tentativo di creare omogeneitá é stato stroncato con la caduta del Governo Conte. Qui, quindi, regna una confusione da transizione incompiuta.
La responsabilità primaria di sbloccare questa situazione spetta, quindi, a queste forze. E bisogna procedere sapendo che il problema é complesso per l’intreccio di tutti i fattori citati all’inizio, concatenazione legge elettorale e partiti in primo luogo, ma anche per un altro fattore: questa area é più colpita dalle profonde trasformazioni di questi anni.

I corpi sociali si sono riarticolati, i padroni si sono dileguati e resi invisibili nascondendosi dietro gli algoritmi, i lavoratori si sono sparpagliati tra illusioni di poter tenere il mondo nel palmo di una mano e delusione di constatare che nell’altra mano ci sono pochi soldi per vivere e, nella testa e nei cuori , speranze di futuro che evaporano. Insomma é il nostro mondo al centro di questa crisi. E non è solo la pandemia dalla quale usciremo, ma un modello di sviluppo impantanato tra grandi temi epocali – clima, giustizia, diritti – e frantumazione in piccoli gruppi di interesse resi confliggenti, tra scelte di sopravvivenza per l’emergenza e visione del futuro che unisca l’oggi col domani.

Manca molto, purtroppo. Manca il conflitto sociale. Troppi a denunciare ed elencare i problemi, molti a prenderne coscienza, pochi ancora a sviluppare analisi compiute ed organiche, a formulare progetti di lungo respiro che inglobano il presente orientandolo verso un futuro. Quindi organizzazione e forza deboli. Siamo ancora figli della divisione del mondo in blocchi contrapposti che non riesce a costruire un mondo multilaterale e multiculturale. Figli di tempi finiti anche se c’è sempre chi pensa di superare la paura del futuro riproponendo il passato. Ed in questo travaglio restiamo in surplace? A vedere chi parte per primo? Se si ritira la Raggi o entra Zingaretti?

La rivoluzione pentastellata ha compiuto il suo primo ciclo: ha scosso il sistema, ha generato forze nuove, ha posto temi ad affermato soluzioni preziose come abbiamo constatato in questa crisi. Adesso deve sciogliere il nodo sempre rinviato: il suo futuro sta nell’area del progressismo sociale e della svolta ecologica definitiva portando a sintesi queste due componenti? O queste materie complesse le lasciamo al Papa che non deve pensare alle prossime elezioni? E il Pd? Non ha anch’esso compiuto il suo ciclo sperimentale divorando neoliberismo, americanismo, individualismo competitivo e trasformando la grande questione dei valori comunisti e cristiani in operazione di potere per il potere?

Per mettere i piedi a terra: nessuno aspetti l’altro e ciascuno faccia quello che gli spetta. Per la sinistra che resta e nella quale continuo a credere (lo confesso oggi più per fede che per convinzione) che trovi un ruolo in questo processo. Tra agorà che nascono, reti che vivono e residui di soggetti politici c’è spazio per tutti. Ma rendiamolo comune se non vogliano accontentarci di stare a guardare, criticare e tifare.

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