La “cripta del Duce” a Predappio, a lungo guardata a vista notte e giorno dalla Guardia d’Onore Benito Mussolini, messa in piedi qualche anno fa da Gabriele Adinolfi, ex Nar e Terza Posizione e oggi vicino a Casa Pound, e da Reinaldo Graziani, figlio del fondatore di Ordine Nuovo Clemente Graziani. Il Campo 10 del cimitero Maggiore di Milano, dove sono sepolti i caduti della Repubblica Sociale Italiana, scenario di commemorazioni per i gruppi dell’estrema destra neofascista ma visitato più volte anche dai parlamentari di Alleanza Nazionale, poi del Pdl, e solo qualche anno fa da Ignazio La Russa in qualità di ministro della Difesa. O, ancora, la lapide che nel cimitero capitolino del Verano ricorda i caduti della Marcia su Roma del 28 ottobre del 1922 che aprì la strada al Fascismo, davanti alla quale si riunivano ancora all’inizio degli anni Novanta esponenti missini come Gasparri e Buontempo o “i ragazzi” del neonazista Movimento Politico.

A chi in queste ore si chiede cosa potrebbe diventare il luogo di un’eventuale sepoltura nel nostro paese delle spoglie di Erich Priebke, risponde la cronaca di questi anni. Un simbolo, un punto di ritrovo, il luogo dove tornare a celebrare, nella forma di un omaggio a un caduto, l’apologia delle sue idee e della sua storia. Una sorta di museo a cielo aperto dell’irriducibilità alla democrazia e ai suoi valori delle idee senza tempo della destra radicale.

Del resto, questo è stato per molto tempo il senso del pellegrinaggio annuale compiuto dagli estremisti neri di tutta Europa – tra loro anche moltissimi italiani -, ogni estate nella cittadina bavarese di Wunsiedel che aveva dato i natali, e dove è stato sepolto, Rudolf Hess, l’ex braccio destro di Hitler condannato all’ergastolo a Norimberga e morto nel carcere di Spandau a Berlino nel 1987. Per l’estrema destra, al pari di Priebke oggi, Hess era un simbolo della vendetta degli alleati sulla Germania sconfitta, «un prigioniero della democrazia» come cantava una band nazirock francese.

E che pensare del mausoleo eretto in un piccolo comune del Lazio, Affile, non lontano da Subiaco – il manifesto se ne è occupato a lungo -, alla memoria di Rodolfo Graziani «il più sanguinario assassino del colonialismo italiano» in Africa secondo lo storico Angelo Del Boca, ministro della Difesa della Rsi, condannato per collaborazionismo nel 1948 e in seguito presidente onorario del Movimento Sociale Italiano. Lo scomparso Teodoro Buontempo, che ha finito i suoi giorni nelle fila di La Destra, di quel monumento parlava in questi termini: «Qui non ci sono parole di odio. C’è solo una parte della popolazione italiana legata a certe idee ed eventi. Graziani era un vero militare».

Anche di Erich Priebke, al pari di Graziani, si dice oggi da parte dei suoi sostenitori che è stato soprattutto un soldato, che in guerra ha eseguito solo gli ordini e questa motivazione dovrebbe valere anche per la strage delle Fosse Ardeatine, l’eccidio di civili per cui l’ex capitano delle Ss è stato condannato all’ergastolo. Peccato che, al di là di questi argomenti pretestuosi, la stessa fuga dell’ex Ss in Argentina attraverso le maglie della ratline e il suo ruolo di primo piano nella comunità tedesca di Bariloche, composta anche da molti altri nazisti in fuga dalla giustizia, descrivano un personaggio ben diverso. Come, del resto, indicano le visite ricevute a Roma da Mario Merlino, esponente dell’estrema destra da più di trent’anni, o il tributo che gli fu reso nel 2003 dal parlamentare di An Antonio Serena, già vicino a Franco Freda e poi alla Lega Nord, che, in polemica con il viaggio di Fini in Israele inviò a tutti i parlamentari una videocassetta realizzata dall’associazione Uomo e Libertà, presieduta dall’avvocato di Priebke Paolo Giachini, anch’egli vicino alla destra, intitolata Guai ai vinti, in cui l’ex ufficiale nazista raccontava la sua storia. Questo, fino all’ultimo messaggio, postumo, lasciato dallo stesso ex Ss in cui si nega esplicitamente la Shoah, si cancellano le colpe e le responsabilità del nazismo e si replicano pregiudizi e accuse nei confronti degli ebrei. Non certo il gesto di un “soldato” comune. Rimuovere il ricordo di un crimine, ha scritto in proposito Bernard Henry Levy, vuol dire commetterlo di nuovo: il negazionismo «è, nel senso stretto, lo stadio supremo del genocidio».

E’ quest’ultimo lascito di Priebke che mette in evidenza, che vi sia o meno un luogo fisico in cui “onorane la memoria”, quale ruolo la sua figura è destinata ad avere in futuro negli ambienti dell’estrema destra, non solo italiana.

Neofascisti e neonazisti hanno sempre celebrato i criminali di guerra quali loro eroi. Non solo. Latitanza e fuga all’altro capo del mondo, o in terre sicure – l’Argentina per Eichmann, la Siria per Alois Brunner, solo per citare qualche esempio -, hanno impedito o reso più arduo a molti di costoro di avere ancora un ruolo di primo piano. Altri, rimasti in Europa o passati indenni dai processi del dopoguerra, hanno invece finito per svolgere un ruolo di primo piano nella cosiddetta internazionale nera o meglio in quei tentativi sorti in diversi paesi del Vecchio Continente più o meno contemporaneamente di coordinare le azioni e i progetti dei risorti movimenti fascisti.

Non si deve fare molta strada per incontrare la figura del principe nero Julio Valerio Borghese che dalla fine della Seconda guerra mondiale all’inizio degli anni Settanta, morì nel 1974 ed è sepolto a Roma nella cappella di famiglia all’interno della Basilica di Santa Maria Maggiore, svolse un ruolo di primo piano nel neofascismo internazionale. Comandante della X Mas durante la Rsi, prosciolto per crimini di guerra, Borghese fu ritenuto colpevole di collaborazionismo e condannato a due ergastoli ma uscì subito anche in virtù dell’amnistia Togliatti. In tempo per aderire al Msi, prima di dare vita al Fronte Nazionale ed ordire un golpe nel 1970.
Più longevo di lui è stato Léon Degrelle, scomparso nel 1994 a Malaga dopo aver vissuto indisturbato in Spagna fin dal 1945, dapprima protetto dal regime di Franco e quindi dimenticato dalle autorità della nuova democrazia. Da leader dei fascisti cattolici belgi del movimento Rex, Degrelle si era riconvertito in ufficiale delle Ss sul fronte russo e si era guadagnato la fiducia di Hitler che di lui aveva detto: «Se avessi un figlio vorrei che fosse come lei». Dopo la guerra era diventato un po’ il simbolo della continuità tra la generazione degli anni Trenta e i loro emuli nel neofascismo.

Come Priebke, aveva anche negato l’Olocausto, pubblicando un pamphlet intitolato Lettera al Papa sulla truffa di Auschwitz. Lo stesso Degrelle cui rende omaggio ancora oggi Forza Nuova, parlando del «sogno di un’Europa Nazione, fiera della sua missione di civiltà». Chi attaccherà per primo la figurina di Priebke nell’album del neofascismo?