Un’orchestra, e il suo repertorio, a 41 anni dallo scioglimento? “Impresa impossibile oppure inutile” potrebbero essere le risposte pertinenti, ma il recital del Grande Elenco Musicisti – guidato da Tommaso Vittorini – alla Casa del Jazz (produzione originale, prima assoluta) segna una terza via. Di fronte ad un pubblico abbastanza numeroso e ‘generazionale’ (apertosi al jazz negli anni ’70), l’ensemble ideato nel 1977 dall’allora 22duenne sassofonista, compositore e arrangiatore romano ha offerto soprattutto la musica del suo leader. Valorizzare il Vittorini autore visionario ed originale è la terza via, peraltro indicata dal direttore artistico Linzi, ma l’operazione funziona correttamente se quell’anomalo ensemble si colloca nella dimensione nazionale ed europea.

IL GRANDE Elenco Musicisti scaturisce alla fine di un anno politicamente drammatico (1977), divisivo per il movimento extraparlamentare di sinistra stretto tra antagonismo, creatività e prodromi di lotta armata. Vittorini canalizzò le esperienze del Laboratorio di Musica Creativa e Improvvisata Europea tenutosi a Modena: era un giovanissimo leader di un’orchestra anarchica piena di solisti-compositori, da Eugenio Colombo a Maurizio Giammarco; in Europa stavano già fiorendo orchestre in cui il linguaggio del jazz si univa ad altri patrimoni e alla sperimentazione, dall’olandese ICP alla tedesca Globe Unity. In questo incrocio si collocano il Grande Elenco Musicisti e la sua storia che si chiude nel 1981.

TRE GIORNI di prove e il concerto del 29 costituiscono materiale per un’uscita discografica non agiografica. I brani di Vittorini dimostrano quanto la sua scrittura e la formula dell’innovativa orchestra fossero avanti, comprendessero il jazz ma assimilassero metri e colori etnici (arabi, balcanici, turchi…), lavorassero su melodie e ritmi diversi (anche folclorici), inserissero l’urgenza del presente nella musica (in “La legge è uguale per tutti” c’è il coro “assemblea … assemblea”), stigmatizzassero le istituzioni musicali sorde all’onda sonora dei ’70 (“Ultimi giorni di solfeggio”), rivestissero di ironia sapiente il passato recente (“Anni che ci hanno cambiato”. “Non si suonava a turno su sequenze di accordi – spiega Vittorini – ma si dava a ciascun solista uno spazio in cui sviluppare l’atmosfera e il linguaggio enunciati dall’orchestra e costruiti (…) per quel solista”: il rapporto tra attore e coro nella tragedia antica, una versione libertaria della dinamica “call & response”.

Tre giorni di prove e il concerto del 29 costituiscono materiale per un’uscita discografica non agiografica.

LA FORMAZIONE presentata alla Casa del Jazz ha qualche membro storico (Antonello Salis, Sandro Satta…), musicisti formatisi in quel periodo cruciale (Mario Raja, Pietro Tonolo, Torquato Sdrucia, Michele Ascolese, Ares Tavolazzi, Massimo Carrano), jazzisti di generazioni più giovani (Sergio Vitale, Massimo Pirone, Marcello Sirignano, Pietro Iodice). Diverso il discorso per Claudio e Mario Corvini il cui padre (il grande trombettista Alberto Corvini) partecipò all’esperienza del Grande Elenco Musicisti. I profumi, i colori, le aperture, i soli e gli special, i temi e i background di “Azero”, “Summer Treat”, “Alba del primo giorno”, “Tango a cucù”, “Tarab kane”, “Falegname per amore” non fanno partire la macchina del tempo (e del suono) verso il passato, piuttosto sottolineano con mille colori e tanta energia (e ironia) quanto futuro scritto già ci fosse nel 1977-’81.