La più grande dissociazione dalla terra l’hanno compiuta i processi di urbanizzazione e industrializzazione nell’occidente a partire dalla seconda metà dell’1800. L’agricoltura spinta lontana dalle città ha finito per diventare estranea e aliena, e il cibo che produceva un secolo dopo merce colorata e brandizzata da mettere in linea su lunghe file di scaffali guidati da un marketing infingitore e confondente.

Le rappresentanze del mondo agricolo sono presto diventate corporazioni e le politiche che lo hanno riguardato si sono sempre più rivolte al mercato, ovvero un agglomerato di persone ed economie reali ma staccate, separate sempre più indistinte, anziché la stretta e indissolubile relazione che lega il lavoro agricolo all’ambiente, agli animali e alle piante che alleva, alla società tutta, alla nutrizione al paesaggio alla cultura ed alla corretta connessione con tutto il vivent , carattere distintivo del pianeta in cui viviamo.

Democrazia dei semi e della Terra, connessione e cooperazione sempre orizzontale e non competizione (non esiste il termine competizione in alcuna lingua o dialetto contadino sulla terra).

Tre giorni aperti a contributi di genetisti, poeti, agronomi, ricercatori, appassionati, agricoltori che ripartono dal paesaggio insieme ad associazioni attive nazionali ed internazionali per contribuire ad aprire una nuova strada di mondi agricoli che sono e ridiventano parte integrante della società.

Il cibo non è il fine ma il mezzo per mettere in relazione tutto il vivente: senza le mani nella terra e della testa, del cuore come dice Franco Zecchinato, delle persone che ci lavorano e ci convivono, il cibo diventa alieno e senza anima.

Tre giorni per ripartire dal difficile momento attuale, dallo schiacciamento in cui si trova la piccola e media agricoltura che vive e sostiene i territori e dal suo bisogno di connettersi in modo più diretto possibile non solo con chi si nutre di prodotti buoni e biologici ma con chi la Terra la vuole anche vivere per reciproca appartenenza.

Per guardarsi dal locale spesso ingannevole e preferire il vicino: anche geografico ma soprattutto di generosità di idee, di visione, di protezione: poche gerarchie e molto orizzontalismo. La nostra agricoltura si occupa prima di ri-produzione (del vivente, del territorio, della fertilità) che non solo di produzione (massima estrazione produttiva).

Tre giorni non solo per scambiare ma per portare proposte concrete: è ora di mettere da parte ciò che divide ed operare sulla visione e pratica che ci unisce. Non più come isole separate, ognuna con la sua importante e bella specificità (ma anche distanza) ma come arcipelago di senso, di consapevole forza collettiva e di contenuto che contende e pretende: contende l’industrializzazione imperante dei processi agricoli e di allevamento, contende il nuovo latifondismo strisciante spacciato come unica possibilità di riduzione dei costi, pretende non solo di essere ascoltata ma riconosciuta.

Quindi la rete Humus, unione di imprese cooperative e associazioni, Slow Food, Navdanya international, Legambiente, Libera e Libera Terra e tanti altri nella casa di Luigi Ciotti, CasaComune tutto attaccato perché terra e cibo diventino parte di quel movimento che riafferma con forza che agricoltura ambiente e società sono la stessa cosa.

La Terra che cura. Dal 12 al 14 maggio 2023 presso la Certosa 1515 di Avigliana, Torino. Info: www.casacomuneaps.org