La tempesta scuote il gruppo sulla montagna di Pantani
Giro d’Italia, tappa 16 Nel classico tappone alpino, tra la Val Camonica e la Valtellina dove è nata la leggenda del Pirata, sopravvivono Ciccone ed il ceco Hirt. Non si sa dove trovi le forze per sprintare l’abruzzese, ma sono forse i nervi a spingerlo a trionfare a braccia alzate
Giro d’Italia, tappa 16 Nel classico tappone alpino, tra la Val Camonica e la Valtellina dove è nata la leggenda del Pirata, sopravvivono Ciccone ed il ceco Hirt. Non si sa dove trovi le forze per sprintare l’abruzzese, ma sono forse i nervi a spingerlo a trionfare a braccia alzate
Sedicesima tappa, si rimane in Lombardia, tra la Val Camonica e la Valtellina, per il classico tappone alpino. Il rischio slavine ha consigliato prudenza, ed è saltato Sua Maestà il Gavia, iggavia per Bartali e per noi che si parla come lui. Avrebbe dovuto fare, iggavia, da trampolino al Mortirolo, amato dai corridori nonostante sia forse il colle più duro affrontato dal circo in bicicletta.
Più lungo il Galibier, più impervio il Tourmalet, più ripidi lo Zoncolan o l’Angliru, più asfissiante il Ventoux, ma se si vuole tirare il collo agli avversari niente è come questo serpente che si snoda su per la Valtellina. La gente per la strada gli vuole bene perché lo spettacolo qui non manca mai, noi tutti gli dobbiamo qualcosa perché qui nacque la leggenda di Pantani. Solo Berzin, per via dei minuti che aveva messo in carniere a cronometro, gli poté tenere testa in quei pomeriggi antichi di 25 anni fa.
E Miguelon Indurain? Mikel, detto alla basca, prima che diventasse uno dei corridori più dominanti della storia, e allora in epoca di scandalo dei GAL la televisione spagnola trovò prudente ribattezzarlo en el idioma del imperio, chi lo aveva visto mai incollato in quella maniera sui tornanti? Non lo vide neanche quel giorno Marco, ché il suo sguardo e la sua ossessione già erano rivolti al trionfo successivo, e così da allora è sempre stato, mai un’esultanza, l’arrivo vissuto sempre come punto morto tra un’impresa e l’altra.
Il copione iniziale è sempre il solito, in una ventina se ne vanno tra cercatori di glorie giornaliere ed aiutanti in campo dei propri generali. Il gruppo si presenta più o meno compatto all’imbocco del Mortirolo, fino a quando Nibali dapprima non mette i suoi a tirare e poi, quando ancora sono venti i tornanti lungo i quali arrampicarsi (un’infinità), parte da solo.
La folata del siciliano non si traduce mai in tempesta, i Movistar lo tengono nel mirino con Landa che pilota Carapaz. Ma quando invece la tempesta scuote il monte, trasformando il sentiero in una cataratta, ci si accorge che è Roglic a non tenere il passo dei migliori. E cambiano allora le alleanze, con Nibali e Carapaz che trovano via via i propri gregari sparsi lungo la discesa e ne approfittano per sferrare assieme il colpo sullo sloveno, privo di una squadra all’altezza. Nel frattempo là davanti sopravvivono Ciccone ed il ceco Hirt. Non si sa dove trovi le forze per sprintare l’abruzzese, livido in volto e intirizzito, ma sono forse i nervi a spingerlo a trionfare a braccia alzate, per abbandonarsi poi a un’esultanza sghemba e incredula.
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