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La televisione che fu anche nelle urne

Ri-Mediamo La ricerca presentata nei giorni scorsi condotta dall’«Osservatorio mediamonitor» del «Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale» dell’Università La Sapienza di Roma con l’istituto Eurispes (a cura di Christian Ruggiero e Luca Baldazzi), ci racconta che il peso del vecchio schermo è in caduta libera. Forse inesorabile

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 19 giugno 2019

L’ultima campagna per il voto europeo, vista sotto il profilo dell’esposizione mediatica, è stata una vera svolta. Se ne parlerà a lungo negli studi comunicativi, nei quali ha sempre avuto centralità il tema degli effetti della televisione sui comportamenti elettorali. Ecco, la ricerca presentata nei giorni scorsi condotta dall’«Osservatorio mediamonitor» del «Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale» dell’Università La Sapienza di Roma con l’istituto Eurispes (a cura di Christian Ruggiero e Luca Baldazzi), ci racconta che il peso del vecchio schermo è in caduta libera. Forse inesorabile.

La prova provata viene dal computo delle presenze nei talk dei leader: Di Maio e Berlusconi in testa, ben più del doppio di Zingaretti. E più dello stesso Salvini. Quest’ultimo recupera nelle citazioni dei sette telegiornali indagati (i tre della Rai e di Mediaset, La7), anche se nelle dichiarazioni dirette il Cavaliere di Arcore torna in testa. Mediaset e La7 fanno la parte del leone nelle «ospitate», mentre il servizio pubblico rivela una scarsa identità pure nel territorio un tempo privilegiato.

Insomma, l’esito delle schede è stato piuttosto distante dai fasti del minutaggio televisivo, visti gli esiti non certo brillanti del Mov5Stelle e di Forza Italia.

È l’annunciata agonia della Signora del villaggio globale? Chissà. Conviene, però, uscire una volta per tutte da un approccio deterministico e schematico. È certo, comunque, che siamo definitivamente entrati nell’età post-televisiva. Gli scricchiolii dell’antica egemonia si erano già appalesati nelle precedenti scadenze. Ma il dato si è ormai consolidato ed è senza ritorno. Il flusso comunicativo si accumula lentamente, mentre le rotture di continuità nell’era digitale sono rapidissime.

Siamo immersi in un mosaico complesso e diversificato di agenzie di formazione del clima di opinione, segnato dal peso crescente della rete e dei social. Il mercato dei profili e delle identità personali ha preso il sopravvento ed è sfuggito dalle mani degli stessi nuovi padroni (gli Over The Top), come emerge – ad esempio – dall’intervista rilasciata a la Repubblica di domenica scorsa dal nuovo dirigente di Facebook Nick Clegg, ex numero due del governo britannico. Si invocano leggi e regole, dopo averle tranquillamente calpestate. Tra l’altro, ora entra in scena pericolosamente il modello di pagamento progettato dall’azienda di Zuckerberg. Pericoloso. Una normativa diventa davvero indispensabile e urgente.

Torniamo alla ricerca. Le notizie attinenti all’Europa sono state solo l’11,4% del totale, il 16% nelle ultime due settimane: 122 titoli su quasi 1100. A mangiarsi il grosso sono state le contraddizioni interne al governo e alla maggioranza, con il 30% all’incirca del tempo dedicato ai capitoli della sicurezza e dell’immigrazione. Le disquisizioni propagandistiche sull’uscita dall’Unione o dall’euro sono svanite, perché elettoralmente di scarso peso. Non si è votato, dunque, sull’Europa e non si è votato neppure secondo i riti quantitativi imposti dalla televisione.

È un cambio di direzione nel rapporto tra comunicazione e politica, che merita di essere approfondito soprattutto dalle culture di sinistra, sempre in ritardo colpevole nel comprendere i fenomeni. La varietà delle piattaforme diffusive richiede una scelta adeguata di stili e di modalità del e nel linguaggio. Non si competerà, forse, con le volgarità di Salvini, ma è d’obbligo cimentarsi con un universo assai lontano dalla cifra presenzialista e approssimativa che ha segnato troppe volte le apparizioni in video.

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