Visioni

La teatralità di Teodor Currentzis e la fedeltà ossessiva al particolare

La teatralità di Teodor Currentzis e la fedeltà ossessiva al particolareTeodor Currentzis e l’orchestra Utopia – foto di Igor Ripak

Musica All'Auditorium Parco della musica di Roma il direttore con l'orchestra Utopia con musicisti provenienti da ogni parte del mondo

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 25 novembre 2023

Un’ovazione trionfale accoglie Teodor Currentzis dopo l’ultimo accordo della Quinta Sinfonia di Ciajkovskij. Applausi e grida da concerto rock. Più fragorose grida e più infuocati applausi, dopo un numero dello Schiaccianoci, sempre di Ciajkovskij, che l’Orchestra Utopia, da lui fondata e diretta, ha concesso come bis. Non sorprende. Currentzis arriva a Roma con la sua orchestra Utopia, formata da musicisti di ogni parte del mondo, preceduto da una vivace fama di discepolo discolo della tradizione, inneggiato da molti e osteggiato da molti altri. L’impatto con il pubblico ha però gratificato gli inneggianti. I dissensi, i distinguo, le prese di distanza si sono dovuti accontentare di essere mormorati a bassa voce. L’entusiasmo del pubblico era giustificato.

CURRENTZIS, è vero, prima di essere un grande direttore, è un grande attore. Recita la direzione d’orchestra. Per chi ama la sobrietà di un Boulez o di un Abbado, è di certo un’esibizione che rasenta la parodia – i Piccoli di Podrecca portavano sulla scena il numero di un direttore d’orchestra infervorato che alla fine perdeva la parrucca. Ma si racconta che Beethoven non fosse più sobrio quando suonava, che anzi scandalizzasse qualcuno per l’esagerazione dei suoi gesti. Ed era Beethoven. Pertanto non è dai gesti che si misura la bravura di un interprete. E che Currentzis abbia un’idea teatrale dell’interpretazione fa parte dello spirito della sua lettura del repertorio. Perché poi, partitura alla mano, ciò che alla vista sembra esasperazione, sceneggiata, si rivela, musicalmente, una fedeltà quasi ossessiva al particolare, all’accentuazione, al fraseggio, alla dinamica suggerite dal compositore. Il rispetto, per esempio, delle legature dove ci sono, ma del non legato dove c’è non legato, dei ritardando, del dosaggio dal piano al forte e viceversa. Ma soprattutto ciò che colpisce l’ascoltatore è l’estrema, quasi scandalosa, libertà del fraseggiare. Che non è un arbitrario rubato, ma un seguire docilmente il respiro della frase musicale. Anche con il timbro degli strumenti. L’improvviso emergere dell’oboe all’inizio del Concerto per violino di Brahms. O del clarinetto nella sinfonia di Ciajkovskij. Splendido violino solista, in Brahms, Barnabás Kelemen, ha regalato al pubblico uno stupendo bis: Tempo di ciaccona dalla Prima Sonata per violino solo di Bartók.

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