Europa

La Svizzera e il suo “image problem”

La Svizzera e il suo “image problem”Da "Image Problem" di Simon Baumann e Andreas Pfiffner

Documentari Baumann e Pfiffner, Bron e Melgar, i registi indagano sul loro paese

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 11 febbraio 2014

«Il problema di questa votazione, che magari non è immediatamente percepibile all’estero, è che si tratta di una proposta che è stata respinta nelle città, ma che ha avuto una grande presa in provincia». Simon Baumann, regista svizzero, autore in coppia con Andreas Pfiffner di Image Problem, combat mockumentary che in patria ha fatto infuriare destra e sinistra, autore in proprio dell’eccellente Zum Beispiel Suberg, probabilmente uno dei film elvetici più interessanti degli ultimi anni, interviene con grande lucidità sul risultato, catastrofico, della consultazione popolare di domenica. «Se parliamo di razzismo non si va molto lontano. Le cose sono più complesse di così. Si tratta di una diffidenza diffusa, di un timore e di una mancata conoscenza dell’altro».

Raggiunto al telefono, Baumann offre del risultato una lettura particolare. «La provincia, che percepisce l’Unione europea come qualcosa di lontano e forse addirittura minaccioso, vede negli stranieri un problema che in realtà non comprende. In provincia, gli stranieri sono sostanzialmente un’entità sconosciuta. Non è come a Zurigo, dove la composizione è tale che la questione assume sfumature completamente diverse. Le questioni legate agli stranieri in Svizzera sono troppe complesse e pensare di risolverle attraverso una consultazione popolare forse non è la soluzione giusta. Vanno a votare, infatti, persone che hanno un’informazione approssimativa e non corretta e che sono chiamate a esprimersi sulla base di dati tendenziosi. Scandalistici». Un risultato che proietta una luce fosca sulla Svizzera e che peggiora quello che è, appunto, un image problem. «Il risultato avrà senz’altro ripercussioni negative nei confronti dei tedeschi e sulla scena europea. Questa è una cosa da non sottovalutare. Si tenta di cavalcare una paura ed esorcizzarla con un voto che non è in grado di valutare tutte le implicazioni della situazione».

Baumann non è l’unico documentarista elvetico ad avere affrontato il rapporto complesso che lega la Svizzera agli stranieri e alla Udc, il partito guidato da Christoph Blocher. Jean-Stephane Bron con L’Expérience Blocher ha tentato un’affascinante radiografia di una leadership e di paese nel quale ci sono quattro lingue nazionali e ventisei cantoni che compongono lo stato federale svizzero. Mentre Fernand Melgar con La forteresse e Vol special ha scoperchiato la realtà di quanti richiedono asilo in Svizzera.

Una realtà complessa, dunque, che Philippe Clivaz, consigliere comunale di Losanna nelle fila del partito socialista riassume con parole amare: «Una volta di più la nostra destra radicale è riuscita a far credere agli svizzeri che tutte le emergenze sono provocate dagli stranieri mentre è cosa nota che i dirigenti di questo partito sono gli stessi capi d’industria che creano i problemi con il loro bisogno di mano d’opera a basso costo. Francamente speravo che gli svizzeri fossero un po’ più svegli». Clivaz vede alla base una sperequazione fra «i piccoli e i grandi contadini che hanno troppo potere rispetto alle città». Per Clivaz «il potere deve essere riequilibrato, dare più potere alle città a livello nazionale e per farlo andrebbe riequilibrato soprattutto il potere fra le due principali camere svizzere».

 

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