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La «supremazia» ha bisogno di finanziamenti

La «supremazia» ha bisogno di finanziamentiFrancesco Boccia, Ministro per gli affari regionali e le autonomie

Salute pubblica La sanità, che necessità interventi immediati, è competenza regionale, dopo le riforme degli scorsi anni. Ripartizione che in questo momento crea tanta confusione politica e alcuni cortocircuiti legislativi. Come uscirne?

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 4 aprile 2020

Siamo quasi alla rissa tra Boccia e Fontana, e più in generale la tensione rimane alta tra il governo e le regioni. Per molti versi, è già scattata la corsa a non rimanere con il cerino acceso in mano. La cacofonia istituzionale sulle competenze, sui modi del contrasto al virus, e ancor più su meriti e colpe, è intollerabile.

Si alzano voci favorevoli a recuperare allo Stato le competenze in materia di sanità. Giuristi autorevoli come Cassese e Mirabelli si interrogano. Politici di prima linea come Orlando e Crimi censurano la frammentazione regionale del servizio sanitario. La senatrice Taverna (M5S) presenta il d.l. costituzionale AS 1772 – testo non ancora disponibile – sulla «attribuzione allo Stato della competenza legislativa esclusiva in materia di tutela della salute».

La saggezza dei costituenti – in ogni occasione vincenti sui riformatori o aspiranti tali di oggi – aveva scritto nella Carta del 1948 l’interesse nazionale come limite alla potestà legislativa regionale. Fu cancellato dalla sciagurata riforma simil-federalista del Titolo V nel 2001. Fu un errore. Pensavo e penso che la Repubblica una e indivisibile non può esistere senza un solido fondamento di interesse nazionale.

La corte costituzionale ha poi – a fatica e tortuosamente – riempito in parte il vuoto. Ma è stata una toppa. Peraltro, è vero che lo stato avrebbe astrattamente poteri di intervento già con le norme vigenti, con le leggi di principio ex art. 117 o i poteri sostitutivi ex art. 120 della Costituzione. Strumenti però non utilizzati, pur nell’emergenza. È proprio questa inerzia che suggerisce una revisione.

Ma il percorso di una riforma può essere accidentato, soprattutto in vista del tempo necessario. Se ne discuterebbe a crisi – si spera – finita o in via di conclusione, essendo dunque calata la spinta dell’emergenza. Questo fa sospettare che le mosse odierne siano puro teatro. In ogni caso, vanno segnalati almeno due problemi.

Il primo. I governatori certo non subirebbero in silenzio. La sanità assorbe larga parte del bilancio regionale, ed è lo strumento più efficace nella gestione del consenso. Se venissero espropriati di poteri, darebbero battaglia su ogni centimetro, soprattutto se prossimi al voto e con la lotta al virus di fatto già carta da giocare nella corsa alla candidatura e in campagna elettorale. Non è certo un caso che oggi sgomitino e protestino, spesso sopra le righe e negando l’evidenza. Qui rileva che i partiti hanno – quasi tutti – gruppi dirigenti nazionali fondati sull’assemblaggio di potentati locali, di cui i governatori sono protagonisti. Contro di loro sarebbe difficile trovare armate pronte a dare battaglia con certezza di vittoria. Per Lega e M5s la situazione è in parte diversa. Ma anche Salvini deve fare i conti con Zaia, che i veneti vogliono santo subito mentre la Lega nazionale cede nei sondaggi. E cosa farebbe in caso di conflitto M5S del Nord, vicino ai leghisti sull’autonomia differenziata?

Il secondo. Il problema non è solo ridisegnare le competenze. A poco varrebbe farlo se non si correggesse il sottofinanziamento della sanità pubblica, la squilibrata distribuzione territoriale delle risorse, il deficit infrastrutturale del Mezzogiorno. Poi, anche a voler ritenere acquisito l’improbabile scenario di un ritorno integrale della sanità allo stato, rimarrebbero scuola, beni culturali, porti, aeroporti, ferrovie, autostrade, tutela e sicurezza del lavoro, ricerca scientifica, ambiente, governo del territorio e altro ancora. È l’autonomia differenziata, che non pochi considerano – sbagliando – superata dal disastro coronavirus.

Se si arrivasse a una revisione del rapporto costituzionale stato-regioni, sarebbe opportuno non limitarsi alla sanità. Come procedere? O riscrivendo l’elenco della potestà legislativa concorrente di cui all’art. 117. co. 3, per ritornare a una dimensione effettivamente regionale dell’interesse. O introducendo una generale clausola di supremazia della legge statale, sostanzialmente volta a ripristinare l’interesse nazionale cancellato nel 2001.

E ancora limando l’art. 116, co. 3, sull’autonomia differenziata, domani strumentalizzabile per vanificare la correzione dell’art. 117. Vediamo che la clausola di supremazia è proposta da Boschi. Un dubbio ci assale. Ma anche al peccatore più incallito si può riconoscere una seconda possibilità.

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