La notizia non pare abbia guadagnato le prime pagine dei quotidiani: troppo lontana dalla attualità, un po’ in odore di complottismo e alla fin fine nessuno attacca volentieri chi è destinato a diventare – molti dicono – prima o poi presidente del Consiglio: Mario Draghi.

Ma la cosa è reale e se ne parla da un anno: il governatore della Bce partecipa ai lavori di un gruppo di finanzieri scarsamente trasparente con un potenziale conflitto di interessi rispetto ai suoi doveri istituzionali. E ha subito un richiamo ufficiale.

Il Mediatore europeo è una figura istituzionale cui possono ricorrere tutti i cittadini comunitari per denunciare mala amministrazione e conflitti di interessi. Ad essa nel 2016 la meritoria associazione Ceo (Corporate European Observatory) è ricorsa per il coinvolgimento di Draghi in un’importante associazione privata, detta Gruppo dei Trenta. Nella segnalazione si indica come agli stessi lavori del gruppo partecipino Draghi e altri funzionari della Bce assieme con i vertici di banche e imprese sottoposti a vigilanza dalla stessa Banca Centrale Europea: Ubs, JP Morgan, Credit Suisse, Goldman Sachs, Barclays, ecc. Un po’ come se l’assessore all’urbanistica cenasse col palazzinaro.

Anzi di più: come se discutessero assieme di…urbanistica e pubblicassero dei documenti cofirmati su come si deve ben regolare la pianificazione urbana…
Ceo aveva già provato a denunciare alla stessa autorità la appartenenza del Governatore al Gruppo nel 2012. Allora il Mediatore aveva respinto il ricorso non considerandolo un gruppo lobbistico in quanto gli interessi al suo interno erano troppo divaricati.

Ma la Ong aveva fatto notare che mettere nello stesso consesso alti dirigenti di banche e società finanziarie con funzionari pubblici di varie banche centrali aveva permesso al Gruppo di influenzare il processo legislativo mondiale in maniera significativa, in specie per quanto riguarda i derivati: il G30 pubblicò un rapporto nel 1993 che incoraggiava a non adottare una legislazione speciale (cioè più restrittiva).

Oppure in merito ai requisiti patrimoniali minimi per le banche, battaglia combattuto dal Gruppo a suon di paper e seminari. I risultati si sono visti abbastanza chiaramente: catastrofi.

Questa volta il Mediatore ha preso sul serio la questione e in una Decisione di luglio 2018 rigetta tutte le contro argomentazioni della Bce, asserendo che la partecipazione al G30 mette a rischio la reputazione dell’istituto e prefigura conflitti di interesse, stante l’opacità del Gruppo (i nomi dei suoi vertici che controllano la affiliazione, il Board of Trustees, non sono conosciuti). La sua conclusione è che Draghi e tutti i funzionari della Bce lascino il G30.

Ma poco tempo fa (16 gennaio scorso) il Parlamento europeo ha bocciato un emendamento alla approvazione di una relazione riguardante la Bce in cui si diceva che esso «prende atto del parere espresso dal Mediatore il 5 luglio 2018, in cui si afferma che l’adesione del presidente della Bce al “Gruppo dei Trenta” (G30) costituisce un caso di cattiva amministrazione da parte della Bce; si rammarica per la mancata attuazione da parte della Bce delle raccomandazioni del Mediatore; invita la Bce a porre fine all’adesione del Presidente al G30, a riesaminare le raccomandazioni del mediatore e ad analizzare attentamente le sue politiche interne al fine di tutelarsi dai conflitti di interesse» (emendamento 7).

Quali siano le basi della elaborazione che si elaborano in merito alla regolazione non importa immaginarlo. In un rapporto del 2012 sulla Finanza a Lungo Termine si sostengono partenariati pubblico-privati per fornire liquidità al sistema e dato che «i mercati aperti contribuiscono a sostenere una crescita economica sostenibile», si raccomanda alle economie emergenti di «muoversi gradualmente verso la liberalizzazione dei conti capitali». Chi se lo sarebbe immaginato.