Cultura

La subalternità al Politico non è tutto

La subalternità al Politico non è tutto

Scaffale L’ultimo libro di Maurizio Lazzarato: «Il capitalismo odia tutti», per DeriveApprodi

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 22 novembre 2019

Secolo di fuoco, di sangue, di rivoluzioni e di controrivoluzioni, il Novecento. Ne è convinto, al pari di molti altri etnografi del potere costituito e di quello invocato nelle rivolte, Maurizio Lazzarato, filosofo e ricercatore militante italiano naturalizzato francese per motivi di carcere superiore e divenuto uno dei più rigorosi critici del ruolo esercitato dal debito nel formare la figura chiave del capitalismo contemporaneo che è l’«uomo indebitato». Attorno all’eredità del Novecento ha scritto ora un libro (Il capitalismo odia tutti, DeriveApprodi, pp. 141, euro 15). L’idea di fondo è come ripensare la Rivoluzione dopo la sua sconfitta in Europa, due sanguinose guerre mondiali e l’implosione del marxismo in quanto teoria della liberazione.

LAZZARATO SQUADERNA tutto, senza sconti. È polemico verso i teorici del capitalismo cognitivo, con il lascito del Sessantotto, con la sottovalutazione delle concentrazione del potere nelle mani del capitale, una sorta di deux ex machina che ha la capacità di plasmare e condizionare il funzionamento dell’insieme di un’organizzazione politica, culturale e sociale che assembla e subordina a sé ciò che l’autore definisce le macchine tecniche e sociali della realtà. È polemico anche verso il ritorno del sovranismo nella sinistra politica, liquidata come espressione di un «socialismo della carta di credito», alludendo così alla sua subalternità alle pratiche predatorie ed «estrattive» delle grandi imprese globali e alla finanziarizzazione della vita sociale, come accaduto, ad esempio, in America latina. Critiche che fotografano l’afasia politica dei movimenti sociali nel Nord del mondo e la crisi di alcune esperienze politiche – il Pt brasiliano, ma anche la presidenza di Evo Morales – ma che si rivelano immagini sfocate alla luce del golpe bianco e la rivolta popolare in Bolivia, le insorgenze antiliberiste in Cile, le diverse consultazioni elettorali (Argentina) che vedono in forte difficoltà i candidati della oligarchia liberista.

Quello di Maurizio Lazzarato è tuttavia un libro che propone la prospettiva della media e lunga durata, non del giornalismo di inchiesta. È però su questo crinale che si addensano i dubbi sul funzionamento della «macchina capitalista» che offre. Il problema non riguarda il ruolo «costituente» – esercitato dalla «macchina politica» – ma la sottovalutazione dell’intreccio tra produzione di merci e Politico. Quest’ultimo fa andare in crisi la gerarchia ingessata – proposta dall’autore – di una piramide che vede al vertice la macchina politica e le macchine tecniche e sociali rimanere sempre subalterne a quanto stabilito dal Politico. Il nodo che attende di essere sciolto non è la precisione di questa piramide, ma la manifestazione delle soggettività polimorfe, eterogenee nella produzione delle merci; e la loro indisponibilità e irriducibilità a sintesi eterodirette che mettono a dura prova anche le oliate macchine politiche.

IL CAPITALISMO PUÒ anche odiare tutti, ma ha comunque bisogno dell’intelligenza collettiva per innovare, funzionare, produrre. È quindi di questa polimorfa cooperazione sociale che la macchina politica e le macchine tecniche e sociali, per rimanere al lessico dell’autore, si propongono – ognuno a loro modo e in maniera interdipendente – di addomesticare. Più che sugli effetti nefasti dell’esercizio del potere da parte degli Stati nazionali, come fa Lazzarato, l’attenzione va al rapporto tra la diversa articolazione della cooperazione sociale e ai rapporti, niente affatto lineari e di coatta subalternità, con il Politico.

IN PRIMO LUOGO c’è dunque il capitale, che produce ricchezza della quale si appropria con un grado variabile di violenza legittimato dalla macchina politica, il gestore e decisore in prima e ultima istanza di una totalità – la società del capitale – che si presenta come insieme organicistico, divorando tutto ciò che emerge dalle relazioni sociali.

IN QUESTA ANALISI, c’è una sorta di leninismo e «terzomondismo» di ritorno, tanto più evidenti quando l’autore invita a pensare la rivoluzione a partire dal Sud del mondo, dai movimenti contadini, sociali che lì hanno operato e operano, scartando e mettendo così all’angolo la concezione marxista tradizionale della classe. Fa emergere un caleidoscopio di figure sociali e produttive le quali, dentro la totalità del capitale, non si danno quasi mai come classe o lavoro salariato, rimanendo variabili secondarie, in quanto produzione, circolazione e distribuzione, consumo, nel ritmo dello sviluppo impresso dalla macchina politica.
Dentro questo schema, la Rivoluzione – se mai tornerà ad occupare la scena politica – non parlerà la langue della classe. Ma neppure quella delle teorie del capitalismo cognitivo, cioè di coloro che non negano molte delle cose messe in evidenza in questo libro, ma che lo riconducono dentro il quadro della produzione capitalistica di ricchezza.

AL DI LÀ della semplificazione di questa tesi, dalla quale Lazzarato in passato non ha esitato ad attingere per alimentare, ad esempio, l’analisi del cosiddetto lavoro immateriale, ciò che non è convincente è il refrain sulla macchina politica che non prevede variazioni da un percorso quasi deterministico nel suo divenire (temi elaborati nel suo Segni e macchine, ombre corte,  https://cms.ilmanifesto.it/ingranaggi-oliati-delloppressione/). È indubbio che la guerra sia un rischio sempre presente (il Novecento ha trasformato la guerra civile in una costante della scena politica globale), così come la ricomparsa di forme inedite di fascismo. D’altronde sono da qualificarsi in questo modo sia l’esperienza di Donald Trump che di alcuni populismi europei e latinoamericani (Bolsonaro in Brasile).
L’insidia maggiore del Capitalismo odia tutti è che tale odio divori anche quel seme che l’autore si propone comunque di piantare nel suolo sempre più inquinato del capitalismo: quello di una Rivoluzione che si sarebbe dovuta manifestare per sconvolgere i rapporti di potere vigenti, indipendentemente dalla parte di mondo della sua «fioritura».

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