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La sua radio libera ma libera veramente

Piero Scaramucci A noi ubriachi di sinistra insegnava che la sobrietà del giornalismo radiofonico può essere una leva di cambiamento ben più potente di una bandiera rossa. Ci ha insegnato e abbiamo insieme imparato e inventato come aprire i microfoni per far sentire le voci dei lavoratori, dei giovani, dei manifestanti, di quel «popolo» che si muoveva e parlava

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 12 settembre 2019

Innanzitutto Piero Scaramucci è stato padre fondatore a tutti gli effetti di Radio Popolare. Tanto appassionato del suo lavoro alla Rai quanto consapevole dei limiti politici culturali e «di classe» di quel contesto istituzionale, Piero ha avuto la costanza la capacità e anche la fortuna di elaborare un progetto, trovare i partner (i soggetti della sinistra politica e sindacale del 1976) e far nascere davvero una radio tale da diventare un fenomeno unico e forte nel panorama italiano.
Tra le radio libere fluttuanti precarie molto ideologizzate del 1977 Radio Popolare si consolida invece come un albero dalle radici profonde e indistruttibili, che riesce a far convivere e a far figliare i pezzi altrimenti conflittuali della Milano «alternativa».

A noi primi radiopopolarini, ragazzi e ragazze degli anni 70, più militanti che giornalisti, ha insegnato le necessità e la bellezza del linguaggio semplice e chiaro, della ricerca e della verifica delle fonti e della (per quanto possibile) verità che è rivoluzionaria. Al microfono della radio non dovevamo dire compagni, ma ascoltatori. Non dovevamo confondere i soggetti, ma coglierne e rispettarne la differenza e far emergere le criticità dai fatti, non dalla espressione delle nostre ideologie.

A noi ubriachi di sinistra insegnava che la sobrietà del giornalismo radiofonico può essere una leva di cambiamento ben più potente di una bandiera rossa. Ci ha insegnato e abbiamo insieme imparato e inventato come aprire i microfoni per far sentire le voci dei lavoratori, dei giovani, dei manifestanti, di quel «popolo» che si muoveva e parlava. E che sembra oggi lontano anni luce dai messaggi individualistici e conformisti del cosiddetto «popolo» del «populismo» odierno.

L’ho un po’ perso di vista negli anni e l’ho ritrovato qualche mese fa alla manifestazione a Milano contro il comizio di Salvini. Vispo come un cronista, l’ 82 enne Piero controllava a distanza come andavano le cose nella piazza che contestavamo. Ora impegnato con l’Anpi, era come se ci desse di nuovo un messaggio, quello di non snobbare e di non mollare adesso quei valori di sinistra di cui eravamo come ubriachi 45 anni prima. Se da vivo gli avessi detto «maestro» ci saremmo messi a ridere. Ma a pensarci adesso Piero Scaramucci è stato davvero un Maestro, che mi ricorda che il giornalismo e l’informazione non sono l’inflazione superficiale di cui siamo circondati ma lo strumento prezioso di un futuro civile. (Civile e si spera affettuoso e simpatico come lui sapeva essere).

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