Editoriale

La stupidità a quota 96

La stupidità a quota 96

Pensioni Il governo Renzi non sta facendo nulla di concreto per svincolarsi dalle politiche del “rigore”. Il “blocco delle assunzioni” è il contesto angusto e immodificabile nel quale colloca il “ricambio generazionale”

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 6 agosto 2014

Come è noto, meglio (o meno peggio) avere a che fare con i cattivi che con gli stupidi poiché i secondi non si riposano mai. In economia, tra i principali esempi di stupidità da cui stiamo subendo gravi conseguenze c’è il «rigore» delle politiche comunitarie (catalogato come «stupido» dallo stesso presidente della Commissione Ue Prodi). I governi hanno assecondato con particolare zelo quella stupidità, fino a mettere in Costituzione (su proposta del governo Berlusconi approvata anche dal Pd) il vincolo del bilancio pubblico in pareggio senza che fosse necessario.

Il governo Monti, come suo primo atto di governo (decreto “Salva Italia”), affidò alla ministra Fornero il compito di prelevare dal mondo del lavoro e dei pensionati il principale contributo finanziario per risanare i bilanci pubblici. Eppure, fin dal 1998, il saldo tra le entrate contributive del complessivo sistema pensionistico pubblico e le sue prestazioni previdenziali al netto delle ritenute Irpef è sempre stato consistentemente positivo. Nel 2011, il sistema pensionistico ha riversato nel complessivo bilancio pubblico un saldo positivo di 24 miliardi di euro; nel 2012, è salito a 25,2 miliardi, pari al 1,61% del Pil. Quel provvedimento, oltre ad essere palesemente iniquo, era impregnato di stupidità come è provato – tra l’altro – dalla sorpresa dei suoi autori di fronte alla pur ovvia conseguenza del fenomeno degli esodati. E a fronte di quest’ultima assurdità,da allora si sta cercando di porvi riparo, ma nei limiti imposti dalla stupidità originaria del “rigore”.

La riforma Fornero era motivata da un’ulteriore stupidità, quella secondo cui sarebbe sufficiente aumentare il numero dei lavoratori potenziali, innalzando l’età di pensionamento, per aumentare gli occupati, a prescindere dai limiti del sistema produttivo di creare posti di lavoro. Invece, come era ovvio, gli anziani costretti dalla riforma Fornero a rimanere a lavoro anche per altri sei anni hanno corrispondentemente ridotto le possibilità dei giovani di trovare un impiego. Con gli effetti di contraddire le aspettative sia di chi voleva smettere sia di chi voleva iniziare a lavorare, e di rendere meno produttiva e più costosa la nostra forza lavoro a danno della capacità innovativa e della competitività del sistema produttivo.

Il governo Renzi ha pensato di ovviare agli effetti della riforma Fornero mettendo mano al cavallo di battaglia della “rottamazione” che certamente non brilla per perspicacia (se ci siamo evoluti dall’età della pietra è perché ogni nuova generazione non è ripartita da zero, cioè “rottamando” le eredità di quelle precedenti, ma ha saputo riceverne e accrescere le conoscenze). Così ha affidato alla riforma della Pubblica amministrazione (che c’entra?) il compito di “favorire il ricambio generazionale in un momento di crisi del sistema economico nel suo complesso e di blocco delle assunzioni”.

In effetti, al di là dei “cambiamenti di verso” pretenziosamente annunciati, il governo Renzi non sta facendo nulla di concreto per svincolarsi dalla stupidità originaria delle politiche del “rigore”. Il “blocco delle assunzioni” è il contesto angusto e immodificabile nel quale colloca il “ricambio generazionale”, ma – per di più – lo fa in un modo, ancora una volta, stupido. Infatti, il ricambio è praticato non iniziando dai settori e dalle mansioni usuranti dove l’anzianità pesa più negativamente sulla disponibilità e sulla capacità lavorativa (come nell’edilizia, nella siderurgia, nelle attività con turni notturni, ecc) ma in quelli in cui o è avvertita relativamente meno o addirittura può tradursi in positiva esperienza (come per i compiti dirigenziali, i medici, i docenti e ricercatori universitari).
Peraltro, in ciascun settore o mansione lavorativa, la capacità e la disponibilità a lavorare con il passare dell’età sono diverse da individuo a individuo: l’approccio più sensato al pensionamento sarebbe prevedere margini di flessibilità soggettivi. Invece, mentre Fornero ha imposto fino a sei anni di lavoro aggiuntivo anche in settori usuranti, Madia vuole imporre il pensionamento prescindendo dalla capacità e disponibilità lavorativa individuali, anche quando sono arricchite proprio dall’esperienza.

A riprova della sua insipienza, il governo Renzi, dopo aver rivendicato la responsabilità politica rispetto alle pretese di Cottarelli sulle finalità della Spending Review, è stato costretto dalla Ragioneria a emendare la propria riforma al Senato due giorni dopo aver chiesto la fiducia alla Camera. E ha dovuto farlo rinunciando, per vincoli di bilancio, a “liberare” i 4 mila insegnanti che hanno raggiunto “quota 96” (somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva) dal prolungamento lavorativo coatto imposto da Fornero.

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