È trascorso quasi un anno dal febbraio 2021, quando Rai5 e RaiPlay trasmettevano in streaming dal Teatro alla Scala di Milano Salome di Richard Strauss: uno spettacolo che sarebbe dovuto andare in scena l’anno prima ma era stato ibernato a causa della pandemia. Allora il presente imposto dello streaming veniva tollerato in attesa di un futuro in cui tutto sarebbe tornato come nel passato e i teatri lirici mettevano in piedi produzioni in perdita diffuse gratuitamente in tv e sul web solo per testimoniare di esistere ancora, vittime del luogo comune secondo cui, «poiché la cultura è voluttuaria e la gente ha esigenze ben più serie, figuriamoci se sarebbe disposta a pagare». Ora che Salome finalmente si mostra al pubblico dal vivo, la Scala si accinge a inaugurare un suo canale streaming a pagamento: la storia e i suoi attori talvolta hanno un bizzarro modo di evolversi.

A DIRIGERE il capolavoro di Strauss è Axel Kober, specialista wagneriano, che contiene meticolosamente i suoni, alla ricerca di un nitore che imbriglia gli infiniti colori che da quella partitura si possono cavare, sfumando le dissonanze e le sospensioni armoniche con cui il compositore cominciava a disgregare le codificazioni tradizionali della musica tonale. Nel cast, superbo, spicca Vida Mikneviciute al debutto scaligero, che dà corpo e voce, il primo acerbamente sinuoso e la seconda abbondante e duttile, a una Salome memorabile; accanto a lei Wolfgang Ablinger-Sperrhacke, un Erode laido ed effeminato, e Linda Watson, una Erodiade matronale e sguaiata, che sembrano usciti dal banchetto di Trimalcione nel Satyricon di Fellini; Michael Volle scolpisce un Giovanni Battista grottesco mettendoci di fronte, invece che all’angelo liberty dalla cui bellezza e gioventù Salome è attratta, un vecchio flaccido e sudicio, sorta di materializzazione di un immaginario erotico che feticizza il brutto e lo sporco; convincente anche il Narraboth di Sebastian Kohlhepp, creatura delicata e allo stesso tempo potente.

DAMIANO MICHIELETTO conferma sempre più la sua idea oblativa di regia e legge il testo esplorandone gli interstizi, auscultandone i silenzi, cercando di riportare alla luce gli elementi rimossi della vicenda, quelli che Oscar Wilde (della cui tragedia il libretto si limita a fornire una versione tedesca) avrebbe evidenziato se avesse potuto leggere Sigmund Freud, con il quale lo stesso Strauss farà i conti di lì a poco mettendo in musica i libretti di Hugo von Hofmannsthal, freudiano della prima ora: la sessualità, il parricidio, l’incesto, la pulsione di morte. Coagulati in singolari reminiscenze shakespeariane, questi temi si solidificano nelle scenografie mozzafiato di Paolo Fantin, che, anche grazie alle luci di Alessandro Carletti, creano uno spazio plurimo in cui la dialettica alto/basso e davanti/dietro riproduce la topografia freudiana di una psiche: la scena vera e propria è il luogo per eccellenza dell’Io, teatro del narcisismo inarrestabile di Salome; il fondo, separato dalla scena grazie a due pannelli che si aprono/chiudono su uno spazio da cui emergono i padri (Erode Antipa vivo ed Erode Filippo morto), si configura come il luogo del Super Io, che dell’autorità paterna è una concrezione; il pozzo sottostante la scena, infestato da un desiderio tanto più forte quanto più frustrato, quello per il casto Giovanni Battista, che si nega provocando l’ira vendicativa di Salome, descrive lo spazio di un inconscio (Es) che non ammette di non essere soddisfatto.