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La strategia ultras, il calcio è nel caos

La strategia ultras, il calcio è nel caos

Curve pericolose Il tifo estremo si coalizza dopo la decisione di far chiudere San Siro per cori razzisti

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 10 ottobre 2013

Tra curve vuote e stadi (il Milan, per volere del giudice sportivo federale, Gianpaolo Tosel) con il lucchetto e società inerti. Il calcio italiano è ormai un asset del tifo organizzato. Poco importa la fede: Juventus, Napoli, Verona, Milan. Conta la mission. Gli altri tifosi che pagano l’abbonamento in estate perdendo 2-3 partite casalinghe l’anno, i calciatori, gli amanti del pallone che vorrebbero gustarsi le partite dal divano di casa senza sentirsi discriminati da cori indegni, devono rassegnarsi. La Lega di serie A l’ha già fatto. Con lettera spedita alla Federcalcio: la norma sulla discriminazione territoriale, che ha portato alla squalifica di San Siro per il Milan, va rivista. Con limiti alla chiusura dell’impianto e sanzioni per il solo settore interessato. Subito. Altrimenti gli ultras delle squadre di serie A mettono sottosopra il campionato.

Niente dietrofront sulla norma antirazzismo voluta dall’Uefa, sarebbe una figuraccia con Platini. Sì invece ad apertura graduale verso i club, che dovrebbero «fare di più» nella battaglia contro la lingua violenta e razzista delle curve. Senza però spiegare come procedere. Anche perché una strategia non esiste. Insomma, andava fatto qualcosa per placare anche i dirigenti spaventati, accortisi solo ora dell’enorme peso degli ultrà. Questo, dopo la chiusura – e poi la squalifica – della tribuna milanista, per i cori, ripetuti in due circostanze, per i napoletani «colerosi». Con gli ultras del Napoli che durante l’ultima partita casalinga con il Livorno si auto insultavano, invitando la Federcalcio a punirli, offrendo comprensione e solidarietà ai pari grado rossoneri.

Che a loro volta, attraverso un comunicato – perché le curve curano al dettaglio la comunicazione, esprimendosi via comunicati – hanno sentitamente ringraziato i partenopei, scrivendo che «goliardia e sfottò sono motivo di sanzioni che limitano la libertà». Quella libertà che, vale la pena ricordarlo, è tale anche per gli idioti, come ricorda Vittorio Zambardino su Il Napolista, blog d’informazione d’informazione e analisi politico-calcistica. Tratto comune: la passione azzurra. Dunque, ultrà uniti. Il messaggio della curva interista a quella dei cugini «per far chiudere San Siro» contro le norme antirazzismo è una nitida polaroid del potere del tifo. Saldatura tra frange anche nemiche, un patto per la tutela della mentalità. Fabio Capello fotografava la condizione del calcio di casa nostra in un seminario a Coverciano, quattro anni fa, subito ripreso dai vertici istituzionali del calcio italiano: «Purtroppo gli ultrà fanno tutto quello che vogliono. Allo stadio si può insultare tutto e tutti. Bisogna prendere una decisione da parte delle autorità e da parte dei club affinché la gente torni allo stadio e affinché gli stadi siano più accoglienti» spiegava l’attuale tecnico della Nazionale russa.

Ora, dopo anni di ingiustificati silenzi, i provvedimenti sono arrivati. A pioggia. E niente più multe. Chiuse curve delle due squadre di Roma e Milano. Con l’immagine di un Paese ormai considerato razzista all’estero. Quindi, Milan, recidivo, senza tifosi contro l’Udinese alla ripresa del campionato. E la dirigenza rossonera, sotto scacco di un gruppo non qualificato di imbecilli, cosa fa? Assieme ad altri dirigenti di serie A e alla Lega Calcio, subito chiede lo stop al principio della discriminazione territoriale, articolo 14 del Codice di disciplina dell’Uefa. Prendendosela con la Uefa. Adriano Galliani due giorni fa spiegava di capire la norma sul razzismo. Ma la discriminazione territoriale, no. Non ha udito i cori contro i napoletani durante Juventus-Milan, Galliani. E se pure ci fossero stati, l’applicazione di queste norme darebbe eccessivo potere agli ultrà.

Gli stessi che si sono presentati a Milanello pretendendo colloqui con allenatore e società per il deludente momento della squadra. Gli stessi che a Brescia costringevano alle dimissioni prima Fabio Gallo, vice di Marco Gianpaolo, poi, pochi giorni fa, lo stesso tecnico abruzzese, che ha dovuto rendere conto a ultrà inferociti, che si aggirano negli spogliatoi (con l’ok della Digos, come ha ricordato lo stesso Giampaolo) del club lombardo come fossero nel tinello di casa. Gli stessi che a Benevento, Lega Pro, hanno portato alle lacrime il capitano dei sanniti, Felice Evacuo, minacciato dopo Benevento-Nocerina, sempre via comunicato, di non farsi rivedere in città dopo aver osato salutare allo stadio i suoi ex sostenitori salernitani, poi costretto a scusarsi via video).

Insomma, per il dirigente milanista ora qualcosa va fatto per depotenziare il potere delle curve. Arriva tardi, Galliani. In attesa della modifica alle norme contro la discriminazione territoriale, le curve eserciteranno tutto il potere a disposizione contro le società. Che dovranno scendere a patti con questi scalmanati. Soluzioni, nel prossimo-medio futuro, non ce ne sono, senza cadere nella sociologia da due soldi. Se non puntando sull’educazione civica nelle scuole, per il rispetto delle regole di convivenza sociale. Troppo poco, troppo tardi per fronteggiare l’emergenza.

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