La strategia immobile. Il Pd resta fermo altrimenti si spacca
Democrack Dem corteggiati da M5s e Forza Italia, il rischio rottura. Poi il sollievo Guerini: grave, regolano i rapporti di forza interni con le presidenze. Orlando, Boccia, Verini, Cuperlo: «La scheda bianca è un errore, ora un nostro nome»
Democrack Dem corteggiati da M5s e Forza Italia, il rischio rottura. Poi il sollievo Guerini: grave, regolano i rapporti di forza interni con le presidenze. Orlando, Boccia, Verini, Cuperlo: «La scheda bianca è un errore, ora un nostro nome»
«Si annuncia un governo populista, il primo esperimento europeo di un governo populista». Emanuele Fiano, deputato del Pd firmatario di una legge che istituisce il reato di propaganda del regime nazi-fascista, sospira. Molto preoccupato. Alle sei del pomeriggio tutti i cellulari presenti in Transatlantico trillano una sola notizia: al senato la Lega ha votato Anna Maria Bernini, Salvini sfida il Cavaliere. Se Fiano si incupisce, sui volti degli altri democratici si disegnano sorrisi. «Grande inciucio tra M5s e Lega per le poltrone», attacca Alessia Morani. Michele Ansaldi twitta: «Di Battista che lancia accorato appello per votare Forza Italia al Senato non ha prezzo».
La verità è che il Pd è salvo, non si spaccherà, per ora, fra chi occhieggia all’accordo con i 5 stelle e chi a quello con il Pd.
IL PD DEVE STARE FERMO. Non può reggere un negoziato. Con nessuno. Altrimenti si spacca. Da una parte, dall’altra, ma comunque si spacca. Ma non fare un nome proprio ci mette a rischio di finire nei giochi degli altri», spiega un deputato dem. Ed è quello che accade. Per tutta la giornata, mentre gli altri fanno e disfano presidenze e maggioranze, il Pd resta fermo come un palo. Immobile. Qualsiasi passo in qualsiasi direzione può rompere la delicatissima pax interna siglata il giorno delle dimissioni di Renzi. Il diktat «opposizione» lanciato dal segretario mentre se ne andava non è solo una linea politica: è uno scudo contro la «polverizzazione».
INFATTI PER TUTTO il pomeriggio, le quotazioni della rottura salgono e scendono. Il Pd è formalmente fuori da qualsiasi trattativa per le presidenze delle camere. Ma con in suo tesoretto di voti potrebbe far nascere un governo. Per questo è la «magnifica preda», oggetto di adescamenti e avvertimenti fra M5S e centrodestra.
IN MATTINATA I 5 STELLE fanno filtrare l’ipotesi di votare il franceschiniano Luigi Zanda contro il forzista Paolo Romani. È un dito nell’occhio per i senatori Pd: Zanda è antirenziano, nel voto segreto molti dem non lo voterebbero. Ettore Rosato fredda l’operazione: «Non mi risulta che il M5S abbia fatto nomi, l’ho letto solo in un’agenzia, non credo che Zanda si faccia prendere in giro dalle indiscrezioni che girano». Ma i 5 stelle buttano altri ami. Il senatore pentastellato Mantero per esempio fa il nome di Emma Bonino. Anche questo è sgradito al Pd renziano che al senato detiene ancora la maggioranza. L’orlandiana Cirinnà si lancia subito: «Bonino? La sosterrei anche a voto palese». Le minoranze Pd sono sospettate dai renziani di intelligenza con i 5 stelle.
VICEVERSA I RENZIANI sono accusati da tutti gli altri di intelligenza con Forza Italia. Per tutta la mattina nei capannelli dell’ala sinistra di Montecitorio si discute della tentazione di alcuni senatori dem di votare per Romani. Viene illustrata un’intesa fra Luca Lotti e Gianni Letta. Ma c’è chi orripila: «Ci si scatenerebbe contro una campagna di accuse da parte dei nostri elettori». Tanto più che la mossa verrebbe considerata il preludio all’astensione di una parte del Pd su un governo di centrodestra. L’ipotesi, debole sui numeri, crolla con la rottura fra Lega e Forza Italia. Una salvezza del il Pd.
CHE ESULTA. «La posizione tenuta dal Pd sta pagando», dice il sottosegretario Antonello Giacomelli. «Il Pd, rimanendo fermo ha fatto emergere l’inconciliabilità delle tre posizioni di Lega, Fi e M5s». Lorenzo Guerini sfoggia il suo tono più severo: «Si sta giocando con il tema delle presidenze di camera e senato per regolare rapporti di forza dentro le coalizioni tra i partiti. Credo che invece ci dovrebbe essere un atto di responsabilità». Il Pd, tormentato al proprio interno da correnti centrifughe, per oggi è rimasto compatto nell’attacco al centrodestra reo di strattonare la scelta dei presidenti delle camere con la misurazione dei rapporti di forza fra Berlusconi e Salvini.
MA PER NON ROMPERSI, il Pd non deve muoversi. E questo che spiega Renzi ad alcuni dei suoi riuniti in serata al Nazareno. Anche se nel pomeriggio in senato ha scherzato con i cronisti: «Non parlo per due anni». La linea della scheda bianca decisa da Martina non lo convince, ma ora «tocca agli altri, punto. Per me la discussione è chiusa».
Anche le minoranze non sono d’accordo con la strategia dell’immobilismo. «Non dobbiamo rinunciare ad avere un ruolo, avanziamo una candidatura», spiega ai suoi il ministro Andrea Orlando in una delle lunghe pause delle tre votazioni che ieri si sono consumate alla camera. Anche Francesco Boccia, dell’area di Michele Emiliano, e il veltroniano Walter Verini ne ragionano: «Il Pd deve entrare in partita facendo un suo nome». Gianni Cuperlo fa sapere di essere dello stesso avviso.
MA NEL PD la tregua interna è fragile, trovare un nome unitario sembra un’impresa. Stamattina i senatori e i deputati dem si riuniranno alle nove per decidere cosa scrivere sulla scheda.
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