La strana attualità del Grande Timoniere
Cina Celebrati i 120 anni della nascita di Mao
Cina Celebrati i 120 anni della nascita di Mao
Ieri la Cina ha celebrato i 120 anni della nascita di Mao Zedong (26 dicembre 1893). L’attuale Presidente Xi Jinping aveva chiesto festeggiamenti «solenni, semplici e pragmatici», anche per dare seguito a quella politica della «frugalità» che ha contraddistinto il suo primo anno di regno. Nel luogo di nascita del Grande Timoniere, a Shaoshan, centinaia di migliaia sono stati i visitatori che gli hanno reso omaggio.
Celebrare Mao Zedong, oggi in Cina, è quanto di più complesso e contraddittorio possa apparire agli occhi degli occidentali e – di sicuro – non è facile neanche per i cinesi dare un contorno chiaro alla figura di Mao. Deng Xiaoping aveva liquidato il Grande Timoniere, con il celebre rapporto determinato dal 30 percento di errori e dal 70 percento di cose giuste. Mao, durante le Riforme, è stato dunque messo in soffitta, pur essendo ancora presente con il suo volto, nel luogo che costituisce il cuore del paese, la piazza Tiananmen. Insieme a Mao e i suoi errori, riconducibili tutti a quel periodo storico sul quale la Cina non ha ancora provveduto ad una rielaborazione collettiva, ovvero la Rivoluzione Culturale, Deng ha abbandonato Mao, mettendo da parte la «politica» e avviando una visione economicista della storia e del suo sviluppo sociale. Il partito, teatro degli scontri di Mao e delle sue continue fughe in avanti, è diventato così da luogo di elaborazione teorica, un antro di gestione di interessi economici.
Da partito dei contadini e dei lavoratori è via via divenuto un partito di miliardari, intenti a gestire, nel suo vertice, un diluvio economico e finanziario, gestito di pari passo con la crescita economica del paese. A contribuire ad una visione di Mao come qualcosa di profondamente sbagliato o quanto meno ormai anacronistico nella lettura attuale e contemporanea della Cina, hanno contribuito non poco anche gli occidentali. Si è soliti infatti considerare il progresso cinese, come una sorta di passaggio dal medio evo, l’epoca maoista, alla modernità occidentale, riconosciuta come tale solo grazie all’ingresso della Cina all’interno del mercato mondiale e alle logiche capitalistiche, sebbene contrassegnate dalla grande e forte presenza dello Stato e dalle consolatorie «caratteristiche cinesi».
In realtà, come segnalano alcuni storici, la Cina ha cominciato a crescere proprio durante il periodo in cui a guidare il paese era Mao: «anche se l’andamento economico della Cina è stata spettacolare dal 1978 in avanti, non è stato disastroso tra il 1952 e il 1978. Nel corso di questi anni il Pil cinese è cresciuto ad una media annua del 4,39 percento» (Minqi Li, The rise of China and the demise of the Capitalist World Economy, Londra, 2008). Come inoltre spiega Giovanni Arrighi, «già nel 1970 la Cina aveva una base industriale che impiegava qualcosa come 50 milioni di operai e pesava per più di metà del suo Pil. Il valore del suo prodotto industriale lordo era cresciuto di trentotto volte e quello dell’industria pesante di novanta volte. Alla maggior parte della popolazione, prima analfabeta, era stato insegnato a leggere e scrivere. Un sistema sanitario pubblico era stato creato dove non ne era mai esistito alcuno. La speranza di vita media era aumentata da 35 a 65 anni». (Giovanni Arrighi, Capitalismo e (dis)ordine mondiale, a cura di Giorgio Cesarale e Mario Pianta, Manifestolibri, 2010).
Non stupisce quindi che oggi, in un paese falcidiato da una diseguaglianza sempre più evidente, un sondaggio del Global Times, sancisce che l’85 percento della popolazione cinese considerebbe Mao in maniera positiva. Sebbene si tratti di un dato «celebrativo», la consultazione raffigura in modo netto un ritorno del maoismo nella società cinese, dato il profondo squilibrio del progresso economico nazionale. Lo stesso Xi Jinping, nel tentativo di recuperare la sinistra del partito, rimasta orfana del proprio leader Bo Xilai condannato all’ergastolo, ha recuperato numerose opzioni maoiste. Il neo presidente cinese ha riportato in auge il concetto di «linea di massa» a sottolineare l’importanza della vicinanza del popolo al partito, nonché un ferreo controllo della Propaganda, come elemento in grado di confermare la centralità del partito comunista, lanciando lo slogan del Sogno Cinese, che si riempie di significati relativi ad una Cina forte nella politica estera, unita da un’identità che recupera – e non poco – i presupposti egualitari (in termini di redistribuzione della ricchezza) proprio del vecchio Mao. Celebrandolo a Pechino – si dice che Xi si sia inginocchiato tre volte di fronte al suo corpo imbalsamato nel mausoleo in piazza Tiananmen – ha specificato che i grandi leader non andrebbero considerati come «dei». Anche secondo Xi, «il compagno Mao» avrebbe commesso alcuni «errori», ma «date le complicate situazioni storiche e sociali dell’epoca, andrebbero analizzati e compresi storicamente» e soprattutto non metterebbero in sordina i «suoi successi».
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