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La strana arte delle canzoni

La strana arte delle canzoni

Come finire tra le "braccia" della Venere di Milo Musicisti e band che costruiscono le canzoni ispirandosi a quadri e sculture. Capolavori rock che si nutrono di Rinascimento italiano e fiammingo, del Seicento romano e olandese, del Neoclassicismo ottocentesco, di Espressionismo, avanguardie storiche, pop e art brut

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 19 ottobre 2013

I rapporti tra rock e pittura (e arti visive in generale) si manifestano, da tre-quattro decenni, in qualità e quantità, in mezzo a copiose alternative estetico-culturali, fino a sorprendere i pubblici spesso lontani o eterogenei dell’una e dell’altra disciplina. A tutti è nota l’esistenza di rocker-pittori (e viceversa di artistiche fanno musica), così come le immagini che veicolano il messaggio sonoro, dal video-clip alla scenografia, dal look alle copertine (singoli, lp, cd, dvd), vengono realizzate da grandi firme, quando addirittura non si fa ricorso a esempi celeberrimi della storia dell’arte, spaziando dai primitivi ai contemporanei. Forse invece misconosciute restano ancora le vicende riguardanti le passioni di alcuni musicisti rock verso singole opere (quadri o scritture), al punto da elogiarne gli aspetti e le influenze nei versi delle loro canzoni.

In tal senso è quasi possibile ricostruire una bislacca sintesi di storia dell’arte, mediante la scelta di una quindicina tra capolavori universali e gemme nascoste: è la metamorfosi in canzoni da parte di gruppi o solisti che, a loro volta, si confermano tra le icone di un rock che evolve repentinamente. Dal dopoguerra ai Seventies affonda le radici nel jazz (Nat King Cole) per approdare alla british invasion (Beatles), evolvere in hard (Status Quo) e in prog rock (King Crimson, Peter Hammill), sterzare bruscamente nel punk (Televison), nel post-punk (Siouxsie And The Banshees) e nella new wave. Ma pure via via negli anni Ottanta con l’alt rock statunitense (Pixies) e neozelandese (The Verlaines), il sound di Madchester (The Stone Roses), il ritorno dei ‘grandi vecchi’ (John Cale e Lou Reed) e con il nuovo millennio l’indie rock svedese (Peter Bjorn And John), il minimalismo folk (Sufjan Stevens), il punk-rock americano (Titus Andronicus), la storia dell’arte rivive attraverso nuove song che raccontano o rispecchiano tele, sculture, pannelli, disegni, audiovisivi.

Se i cinquant’anni di storia rock sono degnamente rappresentati a livello stilistico, quali le opere d’arte in 2500 anni di scuole, tendenze, correnti? Si va dall’antico modello classico greco al Rinascimento italiano e fiammingo, dal Seicento romano e olandese, al Neoclassicismo ottocentesco, dagli espressionisti ai cosiddetti ‘ismi’ delle avanguardie storiche (cubismo, post-cubismo, dadaismo, surrealismo), dalla pop art alla nuova art brut.

Television – Venus (130 a. C.)

Marquee Moon (1977), seminale esordio dei Television, carico di nostalgie, letterarie e musicali, sembra la perfetta espressione artistica, nonostante il divario tra l’estetica del passato e quella punk (e pre new wave) in ultima analisi autodistruttiva e contraddittoria. Nella seconda traccia dell’album, il cantante Tom Verlaine utilizza la statua della Venere di Milo come metafora per questa tensione interna. Con le parti di chitarra maestosamente intrecciate Verlaine canta di cadere fra le braccia della Venere di Milo (oggi però nota senza braccia). E tom rimane avvinghiato alla Venus mentre Richie gli propone di vestirsi come poliziotti: “Pensate a cosa potremmo fare!”. Ma Verlaine rifiuta l’idea, che significherebbe diventare una rock star vincolata da norme sociali.

Nat King Cole – Mona Lisa (1503-1514 circa)

Brano-simbolo per il jazz man, cantante e pianista Nat King Cole, inciso nel 1950, scritto da Ray Evans e Jay Livingston, è forse il primo pezzo moderno e ispirato a un’opera d’arte; nelle liriche si paragona una bella donna al misterioso soggetto del capolavoro di Leonardo Da Vinci. Ma non si tratta di un complimento, perché a un certo punto Cole chiede se la donna, come l’immagine, sia una “fredda e solitaria opera d’arte”. Originariamente scritto per un film oggi dimenticato, Captain Carey, il pezzo vellutato rimane un inno alle donne enigmatiche, che, come la Gioconda, nascondono chissà quali segreti dietro i loro sorrisi.

Titus Andronicus – Upon Viewing Brueghel’sLandscape With The Fall Of Icarus (1558)

Le influenze sul quintetto punk del New Jersey sono alquanto eterogenee tra kitsch e intellettualismo, a cominciare dal nome tratto da una celebre tragedia scespiriana; in questo album The Airing of Grievances (2008) in onore dell’umorista George Costanza, alcune canzoni alludono a figure letterarie come Hunter S. Thompson e Albert Camus, benché il frontman Patrick Stickles peschi nelle arti visive per comporre le proprie tracklist: Il paesaggio con la caduta di Icaro del pittore fiammingo Pieter Brueghel il Vecchio, come il titolo suggerisce, non concerne l’altrettanto famoso mito greco, quanto piuttosto una fiammante sensazione evocatrice, nel senso della calamità personale in mezzo a un mondo in continua metamorfosi. Infatti “Tutti i cavalli belli / tutti i fiori e gli alberi” canta e grida Stickles facendo il verso al romanziere Cormac McCarthy con “They will all mean less than nothing when it all has come to be” o addirittura riecheggiando il poeta William Carlos Williams con “A splash quite unnoticed / This was / Icarus drowning”. E il pezzo diventa una riflessione sulla caduta inevitabile di tutto e di tutti.

King Crimson – The Night Watch (1642)

“L’odore di vernice, un fiasco di vino / e tutte quelle facce che mi girano attorno / gli archibugi e le alabarde / e la rispettabilità olandese” canta John Wetton nel brano dell’omonimo inedito live (1973, ma uscito nel 1997). La fonte del testo non è un segreto: ispirato al grandioso dipinto (1642) di Rembrandt, La ronda di notte, la lunare performance del quartetto prog-rock di Robert Fripp utilizza un gioco chiaroscurale simile al capolavoro fiammingo, mentre numerosi dettagli della complessa tela sono osservati con l’occhio di un intenditore, da “il capitano degno e la sua squadra di soldati in piedi veloce”,”la buia tela invecchiata”, notando altresì come tutto rimanga “ancora in vita grazie alla mano del pittore”.

Peter Hammill – The Lie (Bernini’s Saint Theresa) (1647-1652 circa)

Lucida mente creativa del prog inglese con i Van Der Graaf Generator, Peter Hammill non ha problemi ad agire obliquamente tra le discipline artistiche. E nel pezzo ispirato all’estasi di Santa Teresa scolpita da Lorenzo Bernini, nell’album solista The Silent Corner And The Empty Stage (1974), compie sui testi un’azione decisamente irriverente. Con la tipica perversità Hammill non urla focoso “Genuflessione, erezione in chiesa”, bensì sussurra drammaticamente, iniziando la filastrocca sulla santa, mettendo addirittura la “X” in “Ecstasy”. Non sorprende, Hammill è l’unico progrockman che John Lydon cita quale positiva influenza per l’opera scandalosa dei Sex Pistols.

XTC – Statue Of Liberty (1886)

La prima a inneggiare al monumento-simbolo di New York è Laurie Anderson, però la menzione sonora indelebile all’immensa statua del francese Frederic Auguste Bartholdi (e i calcoli ingegneristici di Gustav Eiffel) è del quartetto inglese XTC. Ancora nella fase germinale post-punk, la canzone del 1978 rappresenta il tono acuto e l’atteggiamento spinoso di Andy Patridge e soci, sfacciati in versetti come “Nella mia fantasia navigo sotto la tua gonna”, a cui segue il netto divieto della BBC a programmare il singolo in radio e TV.

The Verlaines – Death And The Maiden (1885-1886)

“Sei troppo, troppo oscuro per me” canta il neozelandese Graeme Downes, in apertura del singolo del 1983. Oltre il tema artistico da cui il brano prende il titolo, Downes dedica alla coppia di poeti simbolisti francesi (Paul Verlaine e l’amante Arthur Rimbaud) il nome del proprio gruppo, tentando di fare quattro chiacchiere con l’oscuro oggetto dei suoi desideri: “Ti piace Paul Verlaine? E oggi pioverà?”. Forse Downes sembra destinato a tornare a casa da solo, dal momento che il dipinto di Edvard Munch raffigurante il tema della morte e della fanciulla include una magra figura maschile che sta per essere risucchiata da una ragazza ancor più scheletrica.

Peter Bjorn And John – Blue Period Picasso (1901-1904)

Nell’album Living Thing (2009) , il duo cantautoriale svedese si allontana dalla spensieratezza degli esordi (Writer’s Block, 2006) per comporre suoni più avanguardisti. La novità stilistica è evidente soprattutto in questo song dedicato al periodo blu picassiano in forma di monologo drammatico. Il narratore è un Pablo Picasso innominato che dipinge fra ad inizio Novecento, concentrandosi sull’utilizzo di tonalità monocromatiche per soggetti di solitotristi o cupi. Si inizia come se l’armonia vocale lamentasse il destino del dipinto: “bloccato su una parete / nel mezzo di un corridoio a Barcellona” con il desiderio di superare i confini di un museo. Come i tocchi elettronici fuoriescono quasi naturalmente, così il quadro chiede di essere rubato e portato fuori, verso l’originaria destinazione. Quasi a personificare il dipinto come una trappola, PB & J enfatizzano il valore di visionarietà della grande arte.

Status Quo – Pictures Of Matchstick Men (1927-1965)

Il quintetto londinese ancor oggi attivo è protagonista protagonista hard rock per tutti gli anni Settanta, ma nel 1967 è solo un gruppo anonimo che cerca di sfruttare il trend psichedelico, approdando a pregevoli risultati con il primo successoPictures Of Matchstick Men (letteralmente ‘quadri di uomini-fiammifero): dondolante, hippie e soprattutto orecchiabile, rimane un vivido esempio di arte allucinogena anche a livello di riferimento direttamente culturale, visto che i testi di Francis Rossi posseggono gli stessi ruvidi colori dei quadri di L. S Lowry, che umilmente dipinge magre figure stilizzate, dai critici indicate appunto come “uomini fiammifero.”

Pixies – Debaser (1929)

Il cortometraggio surrealista Un Chien Andalou di Luis Buñuel e Salvador Dalí si apre con il primo piano di un occhio femminile tagliato. Ispirato dalla scena choc, Black Francis scrive i testi per il brano di apertura dell’album Doolittle(1989), un misto di assurdità, in cui grida di voler mostrare a qualcuno proprio il ‘cane andaluso’. All’inizio difatti canta “Mi ha fatto un film / voglio sapere / affettare gli occhi / voglio che tu sappia” e non può che riferirsi a quella vena surreale che, parimenti, attraversa il resto dell’album e l’intera carriera del leader del quartetto bostoniano.

Siouxsie And The Banshees – Metal Postcard (Mittageisen) (1935)

Questi pionieri del post-punk britannico non provano imbarazzo o timidezza nel rendere omaggio ai loro ispiratori da Louise Brooks per l’aspetto della vocalist Siouxsie Sioux a Gustav Klimt per belle copertine, da Billie Holiday ai Beatles per le nuove cover. Ma il riferimento più palese del gruppo a un’opera d’arte arriva nel 1978 con il pezzo basato sul fotomontaggio Hurrah Die Butter Ist Alle! del dadaista John Heartfield. La canzone inquietante riflette la reazione desolatamente satirica di Heartfield verso il famigerato discorso “pistole o burro” del leader nazista Hermann Göring. Fra l’altro la Sioux, allineandosi al leggendario pittore antifascista, si riscatta dalle critiche subite per la svastica indossata in precedenza, secondo la moda freak. Metal Postcard appare inoltre sull’album, The Scream, nome preso a prestito dal quadro di Edvard Munch a sottolineare il debito della band verso la storia dell’arte.

The Stone Roses – Guernica (1937)

Tanto il capolavoro di Picasso sulla cittadina bombardata dai nazifascisti cattura l’agonia e il caos della guerra quanto la Guernica degli Stone Roses non riesce a emularne lo spirito né a fare nulla di simile alla potenza visiva rivoluzionaria. La song appare sul lato B del singolo Made Of Stone (1989), ed è di fatto la title track suonata all’inverso, ma con l’aggiunta di nuovi testi grazie all’inventiva del leader Ian Brown, qualcosa in più di un divertissement su un’opera d’arte. Infatti è una bella canzone dal tratto psichedelico, e i testi di Brown riescono a tratti a manifestare l’ispirazione tormentata a lui congeniale. Del resto la band proviene da una cultura che sa apprezzare la storia dell’arte, a partire dal chitarrista John Squire, pittore sull’onda di Jackson Pollock: non solo dipinge tutte le copertine dei loro dischi, ma nella canzone Going Down fa riferimento al Quadro N ° 5 del genio astrattista.

Lou Reed e John Cale – Songs For Drella (1960-1986)

Più che i volti di Marilyn Monroe, le lattine di zuppa di pomodoro, gli happening multimediali, i film sperimentalisti la maggior opera d’arte di Andy Warhol resta Andy Warhol. Da celebrare se stesso a curare maniacalmente la propria identità (scrive un libro intitolato La filosofia di Andy Warhol), la figura di Warhol definisce la parabola dell’autocoscienza della pop art. E per questo l’intero album Songs For Drella (1990) di Lou Reed e John Cale, a tre anni dalla morte dell’artista, è un inno a Warhol medesimo. Anche il titolo, un crasi fra “Dracula” e “Cinderella” a volte usato dal cerchio ristretto della Factory, postula Warhol come una costruzione, appunto un’opera d’arte. Attingendo alla profonda ammirazione che nutrono Cale e Reed verso Andy, determinante nello scioglimento dei Velvet Underground, Songs For Drella funziona anche come un sincerro elogio pop offerto da due amici di lunga data.

The Beatles – Lucy In The Sky With Diamonds (1967)

La genesi del song psichedelico (terzo in Sgt. Pepper, 1967) è dibattuta sin dall’uscita dell’album (le iniziali, LSD, spiegano le visioni di un viaggio in acido), ma in realtà esisterebbe, per gli autori, un’ispirazione più accattivante: un disegno del figlio di John Lennon, Julian (all’epoca quattro anni). Non è chiaro quanto di immaginario del testo provenga realmente dal lavoro originale (andato perduto); Julian forse porta a casa un foglio di grandi dimensioni per mostrare la Lucy in cielo, che John da sempre, in maniera assai poco prosaica, sostiene essere una compagna d’asilo del figlio. Ma da ex studente di Belle Arti il beatle sa trasformare tali scarabocchi in oniriche visioni sonore.

Sufjan Stevens – Get Real Get Right (1988-1995)

Quando il folk singer di Detroit contribuisce con la musica a Make, un documentario su artisti autodidatti, si ritrova coinvolto nella storia di Royal Robertson un pittore schizofrenico della Louisiana, un naïf che si autoproclama profeta. Stevens scopre le raffigurazioni oniriche di Robertson che combina allucinogeni, fantascienza, Bibbia, fumetti, astrologia; queste e altre disparate influenze vengono assorbite nell’album The Age Of Adz (2010). Per quasi tutta la vita Robertson lavora in povertà, tra pennarelli e cartoncini. Ma la storia dell’artista maniaco in lotta contro la pazzia offre a Sufjan il trampolino di lancio per una partenza solistica radicale, che s’incentra sul mondo fantastico dell’artista fino a rivolgersi direttamente al profeta in Get Real Get Right.

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