La nonna di Dareen Tatour le ha raccontato la sua Nakba: il massacro di Safsaf, villaggio palestinese in Galilea attaccato dal neonato esercito israeliano il 29 ottobre del 1948.

È DAI RACCONTI della sua teta che la poetessa palestinese (detenuta nel 2018 dalle autorità israeliane per una poesia) ha conosciuto la storia di quel villaggio scomparso dalle mappe. Al suo posto fu costruito il kibbutz Moshav Safsufa. Lo Stato di Israele era sta già nato, cinque mesi prima, ma il trasferimento forzato della popolazione palestinese non era terminato.

I soldati circondarono il villaggio, uccisero oltre 50 persone e gettarono i corpi in una fossa. La nonna di Dareen aveva 16 anni, era già sposata. Ha assistito al massacro. Safsaf fu svuotato, i suoi abitanti scapparono nei paesi vicini. Non lei, che viveva già con il marito nella vicina cittadina di al-Jesh.

Memoria orale (come spiega nell’intervista accanto lo storico Salim Tamari) che nel caso di Safsaf si intreccia ai documenti di Stato israeliani. Quel massacro è custodito nell’archivio Yad Yaari del partito di sinistra Mapam. O meglio era: è tra i file fatti sparire dal Malmab.

«Safsaf – 52 uomini catturati, legati uno all’altro, scavata una buca, uccisi. Dieci ancora si contorcevano. Le donne sono venute, hanno chiesto pietà. Trovati corpi di sei anziani. C’erano 61 cadaveri, tre casi di stupro. Una ragazza di 14 anni e quattro uomini uccisi. A uno di loro sono state tagliate le dita con un coltello per prendere l’anello». Queste le note del membro del comitato centrale del Mapam, Aharon Cohen, riportate a Israel Galili, l’allora capo delle Haganah.

NOTE CONFERMATE da un comandante delle Haganah, Yosef Nahmani, che nel suo diario scrisse: «A Safsaf dopo che gli abitanti sventolarono la bandiera bianca, raccolsero uomini e donne in due gruppi, legarono 50 o 60 abitanti e gli spararono, li hanno seppelliti nella stessa buca. Dove hanno imparato questo comportamento, crudele come quello dei nazisti?».

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«L’evacuazione britannica ci ha dato via libera. Almeno il 55% di tutta la migrazione fu motivata dalle nostre azioni. L’azione dei dissidenti (paramilitari, ndr) come fattore dell’evacuazione degli arabi da Eretz Yisrael ha avuto un 15% di impatto diretto. In conclusione l’impatto delle azioni militari ebraiche è stato decisivo: il 70% dei residenti ha lasciato le proprie comunità come risultato di queste azioni».

COSÌ L’INTELLIGENCE del neonato Stato d’Israele, il 30 giugno 1948, in un dettagliato rapporto spiega la diaspora palestinese da 219 villaggi e quattro città spopolate e le ragioni della fuga. Che non fu volontaria. Quel rapporto è uno dei documenti fatti sparire dal ministero della Difesa.

«È ragionevole assumere che la migrazione non fu economicamente motivata – continua il rapporto – L’economia araba non era stata danneggiata tanto da impedire alla popolazione di sostenersi».

In quel rapporto c’è tanto: c’è l’ammissione della responsabilità nell’esodo dell’80% della popolazione palestinese dell’epoca (dai registri Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi nata pochi anni dopo, si parla di oltre un milione di persone); c’è l’ammissione che la Palestina non era «una terra senza popolo», ma aveva città, villaggi, un’economia viva. E c’è, seppur in forma indiretta, la descrizione del Piano Dalet.

Redatto a inizio ’48 dalle Haganah, in 75 pagine descrive la strategia bellica per «assumere il controllo dello Stato ebraico». Tra le operazioni: «pressione economica assediando alcune città»; «distruzione dei villaggi (fuoco, dinamite, mine)»; «accerchiamento del villaggio e nell’eventualità di una resistenza la forza armata deve essere distrutta e la popolazione espulsa»; «isolamento delle vie d’accesso e blocco dei servizi essenziali (acqua, elettricità, carburante)».

AL DALET È DOVUTA la geografia dell’esodo, massacri in certi villaggi come monito e assalti su tre lati. L’unico aperto era la via di fuga: per le comunità a nord Libano e Siria, a est Giordania, a sud Gaza ed Egitto. E in molti casi, come a Jaffa, bombardamenti che spinsero i palestinesi verso il mare e le navi che li costrinsero in esilio.