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La storica libreria torinese sfrattata dal supermercato

La storica libreria torinese sfrattata dal supermercatoPaolo Barsi nella sua Libreria Comunardi di Torino

Partita la raccolta fondi La Comunardi potrebbe rinascere nel civico accanto

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 20 agosto 2019

Il problema è racchiuso nel concetto di «riqualificazione». La Libreria indipendente Comunardi – il passato, il presente e sopratutto il futuro di questo «negozio» sono racchiusi in quel nome – è piantata come una vecchia quercia nel cuore di Torino; chiuderà perché il centro città sarà riqualificato in un futuro prossimo venturo. Che cosa questo significhi in una delle zone che maggiormente ha fruito di processi di riqualificazione non è chiaro.
L’incessante cammino dei turisti in ogni stagione fa sperare i proprietari di case e negozi che nuove rendite sempre più ricche si possano scalare, fino all’agognato picco del 10% del valore immobiliare da cavare dall’affitto annuale dei locali. Uno sproposito, dato che al momento la percentuale è ferma intorno a un non modesto 4% medio.

Anche la Libreria Comunardi, nata nel 1976, è entrata nel tourbillon della gentrification che imperversa nelle disneyland dei vari centro città. «Di per sé, le librerie indipendenti se la cavano – spiega il proprietario, Paolo Barsi – anche se l’attacco da parte dei colossi on line è forte. Il problema sono i canoni di affitto fuori mercato, esplosi da quando è subentrato l’orizzonte della riqualificazione». La Libreria Comunardi è un pezzo di Novecento e a Torino è quella schierata più a sinistra: è rimasta ferma dove nacque, ai tempi delle librerie «Punti rossi» ispirate da Primo Moroni, una rete militante legata ai movimenti. La bacheca che si trova entrando a sinistra, ricolma di riviste marxiste in arrivo da mezza Europa, esposte con un certo vezzo, lo dimostra.

Un pezzo della storia della sinistra torinese che potrebbe essere cancellato da un supermercato. Tre anni fa un cambio di proprietà dei muri ha portato a un braccio di ferro che si concluderà il prossimo 30 settembre, quando la Comunardi dovrà abbassare le saracinesche, nonostante un canone di affitto pari a 4mila euro mensili regolarmente pagato. Delle disavventure della Comunardi, a cui la cittadinanza è affezionata, si interessa anche la politica torinese, che ha tentato di far partecipare al salvataggio delle fondazioni bancarie: le fondazioni bancarie a Torino ormai si occupano di tutto. Il tentativo naufraga: «Che fare»?

Prima una raccolta firme on line che ha raggiunto in pochi mesi quota 82mila. Poi, sostenuta da un comitato cittadino, è nata una comunità che ha organizzato una colletta su una piattaforma di crowdfunding: lo scopo è mettere insieme 200mila euro per comprare i muri di un locale poco distante dove poter far rinascere la Comunardi. Obbiettivo molto ambizioso, ma che genera entusiasmo e prospettiva.

Al momento la raccolta è arrivata a quota 25mila euro, ma la spinta decisiva è attesa per il mese di settembre quando una serie di iniziative deciderà se la raccolta fondi avrà successo oppure no. Barsi, un uomo che potrebbe andare serenamente in pensione dopo oltre 40 anni di lavoro, pare ottimista: «Siamo tutti vittime di questo processo di desertificazione culturale che colpisce le città. Per questa ragione ho deciso di resistere, e di chiamare a raccolta le migliori forze. Se riusciremo a raccogliere i soldi necessari per rilanciare, appena ne avrò la possibilità li restituirò. Non si tratta solo della mia storia personale e professionale, che potrebbe anche concludersi qui». La raccolta procede sulla piattaforma «goFundMe», alla voce «savecomunardi».

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