La memoria serve se non si riduce a retorica: solo allora guida le azioni in modo che queste non siano in contraddizione con le parole. Nel mondo senescente e formalistico in cui viviamo, invece, la celebrazione della sconfitta del nazifascismo (la liberazione il 25 aprile e l’entrata in Auschwitz dell’Armata Rossa il 27 gennaio), sostanza della nostra Repubblica, rischia di ridursi a forma poiché convive contraddittoriamente con una demagogica e ambigua «cultura del dialogo», che invita, in nome della libertà d’opinione, a «dialogare» con repubblichini, negazionisti, evoliani fascio-esoterici che glorificano coi vari culti del sangue e del suolo le radici...