La storia in forma di agili biografie
Medioevo Un percorso di letture fra le vite di Teodorico, Boezio, Roberto d'Angiò e il re di Norvegia Sigurd Magnusson
Medioevo Un percorso di letture fra le vite di Teodorico, Boezio, Roberto d'Angiò e il re di Norvegia Sigurd Magnusson
Non importa quanto la storiografia sia mutata in questi ultimi decenni: la biografia resta, dopo un appannamento nel corso degli anni ’60-’70 del Novecento, un genere di successo. Naturalmente il tempo non è passato invano e anche il genere biografico ha conosciuto diverse variazioni e aggiornamenti. Talvolta serve soprattutto a inquadrare un momento, che sia politico, culturale o quant’altro. È il caso del testo di Antonio Donato dedicato a Boezio. Un pensatore tardoantico e il suo mondo (Carocci, pp. 344, euro 28), che ha poco della «vera» biografia, e tanto dell’analisi di ciò per cui ricordiamo Severino Boezio: il suo contributo al pensiero filosofico e culturale. Inutile chiedersi a quale epoca sia appartenuto: fra mondo tardoantico ed età romano-barbarica ci sono profonde discontinuità, ma anche elementi comuni, che la breve esperienza di regno del goto Teodorico cercò di tenere insieme.
ALLA METÀ DEL V SECOLO, gli ostrogoti erano subordinati agli unni e insediati nella pianura pannonica (odierna Ungheria). In seguito divennero foederati dell’impero d’Oriente e come tali si insediarono in Macedonia; ma il governo di Costantinopoli, che preferiva non averli ai suoi confini, li incoraggiò a indirizzarsi sull’Italia conferendo al loro re Teodorico il titolo di patricius, vale a dire di difensore della città di Roma e di governatore per conto dell’impero dell’Italia e della Dalmazia. Teodorico, risiedendo nella capitale di Ravenna, inaugurò una politica per molti aspetti originale. Egli non dimenticava né la veneranda tradizione di Roma, dalla quale si sentiva affascinato, né la realtà dell’impero romano ch’era la più grande potenza che gli stesse di fronte e rispetto alla quale egli era come patricius un cittadino e un funzionario, come re goto un federato. E da funzionario e alleato di Roma si comportava: rivide la legislazione, abbellì la sua capitale Ravenna di sontuosi monumenti, affidò la sua cancelleria a una serie di brillanti intellettuali romani quali Cassiodoro, Simmaco e, appunto, Boezio.
LA POLITICA teodoriciana, comunque, fallì a causa sia degli intrighi del governo imperiale romano, che negli anni Venti del VI secolo aveva cominciato a guardare con rinnovato interesse alla pars Occidentis e a seminare quindi discordia fra goti e latini, sia dell’intransigenza di molti capi goti.
Teodorico, ormai alle soglie della vecchiaia, divenne sospettoso e inaugurò una nuova fase del suo regno, caratterizzata da dure persecuzioni contro nemici che, almeno sulle prime, erano prevalentemente immaginari: fu così che egli fece imprigionare e poi giustiziare lo stesso suo ministro, Boezio, illustre rappresentante dell’aristocrazia senatoria e filosofo di scuola neoplatonica che, nella prigionia alla quale era stato ridotto, redasse l’opera De consolatione philosophiae, una delle più lette e conosciute di tutto il medioevo. Oltre alla sua opera principale, Donato ripercorre l’intera produzione di Boezio, come autore e come traduttore dal greco al latino, restituendoci la vitalità e il valore di un intellettuale travolto da un mondo in rapido mutamento.
DI TUTT’ALTRO TIPO la biografia che Guido Iorio dedica a Roberto il Saggio. Biografia di Roberto d’Angiò, un ’re da sermone’ (Francesco D’Amato editore, pp. 220, euro 14) perché qui il biografato è un sovrano e dunque il libro è soprattutto interessato al contesto politico, oltre che alla personalità dell’angioino. L’autore è impegnato da anni nel tentativo di far emergere l’importanza della tradizione regia angioina, inevitabilmente schiacciata dalla memoria normanno-sveva, e in particolare da quella di Federico II di Svevia.
Carlo d’Angiò e la dinastia da lui insediata in Italia meridionale hanno sofferto dal confronto, spesso additati come causa della decadenza di un regno prima fiorente. La vicenda biografica dell’angioino attraversa snodi fondamentali: la guerra del Vespro in Sicilia fra angioini e aragonesi, i conflitti fra guelfi e ghibellini, la crisi del papato fra Bonifacio VIII e trasferimento ad Avignone.
ALLE VICENDE RELIGIOSE Roberto d’Angiò era particolarmente interessato, ma al di là del nomignolo (il «re da sermone»: definizione non benevola di Dante) lo era in modo inconsueto per un leader dei guelfi, dal momento che simpatizzava per i francescani spirituali, in odore di eresia. Anche qui siamo dinanzi a una vicenda personale che, per il ruolo rivestito, si fa anche storia tout court, e Iorio mantiene bene l’equilibrio necessario fra questi due aspetti.
In un certo senso, è una biografia anche quella che Francesco D’Angelo dedica a Il primo re crociato. La spedizione di Sigurd in Terrasanta (Laterza, pp.212, euro 20). Qui il protagonista è Sigurd Magnusson, re di una Norvegia appena convertita al cristianesimo, che si lanciò in una spedizione verso Gerusalemme che gli valse il nome di «Jorsalafari»: colui che ha viaggiato a Gerusalemme. È materia epica il racconto della spedizione, avvenuta nel corso di cinque anni, fra 1107 e 1111, ossia quando Gerusalemme era stata appena conquistata dai crociati, ma era necessario rafforzare i possedimenti e conquistare le coste grazie a nuovi apporti dall’occidente. Se quelli di pisani e genovesi sono ormai ben noti, prima del libro di D’Angelo l’impresa norvegese era poco conosciuta, almeno da noi.
IN SIGURD CRISTIANO neofita vediamo lo stesso entusiasmo che mettevano i vichinghi, ai quali peraltro appartiene, nel saccheggiare i monasteri cristiani qualche decennio prima, affrontando mari, fiumi e terre inedite per guerreggiare e arricchirsi. In più, nell’impresa di Sigurd conta l’attrazione per il Mediterraneo, luogo di ricchezze che già aveva richiamato i normanni in Italia meridionale e nella stessa Terrasanta.
Così seguiamo il viaggio di Sigurd e dei suoi attraverso la Manica e lungo le coste oceaniche, toccando il Portogallo (che ancora non esisteva come regno) per poi infilarsi fra le colonne d’Ercole fino alla Sicilia meridionale e poi al Vicino Oriente. Al ritorno preferirono le vie di terra da Costantinopoli all’Europa orientale fino ai mari del Nord.
Un’avventura straordinaria per un personaggio del quale scrivere una vera biografia sarebbe impossibile, vista la scarsità dei dati, ma la cui storia si legge come una saga norrena.
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