Cultura

La Storia è un optional

La Storia è un optionalUn'installazione alla 9/ma Biennale di Berlino

Biennale Berlino La kermesse tedesca è giunta alla nona edizione. Quest’anno, curata dal collettivo newyorkese Dis, punta l’attenzione sulla città, il suo frenetico consumo turistico, l’arrivo epico dei rifugiati, l’accumulo di capitali

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 17 giugno 2016

Dopo aver visitato la nona edizione della Biennale di Berlino siamo tutti consapevoli che: «La tua etica a volte ti ricorda una pubblicità nella metro; altre, le parole d’ordine di movimenti di massa, o ti provoca vergogna. Sei un consumatore di cultura molto selettivo, ma sai che poche di queste scelte hanno un futuro. Vai alle inaugurazioni per vedere dell’arte, incontrare tuoi amici e bere gratis. Berlino è una trappola per turisti speciale. Fai meditazione e sei in debito. Ogni volta che ti senti equilibrato, sei una persona travestita da equilibrato».

È così che il gruppo di marketing culturale statunitense Dis rintraccia il fruitore ideale della kermesse appena inauguratasi e da loro curata (visitabile fino al 18 settembre). L’artista Simon Fujiwara entra in pallonetto con The Happy Museum. In una grande stanza troviamo sotto teca una fila di teutonici asparagi bianchi accanto a una di barrette di cioccolato Kinder con le foto dei giocatori della nazionale tedesca. Su un piedistallo è poggiata la porta del Agentur Paradies, un bordello dedito ai clienti disabili, mentre su un altro piedistallo c’è un cumulo della cipria usata da Angela Merkel per le apparizioni televisive. Una raccolta di dati in forma di oggetti che misurano la felicità come pil della Germania di oggi. Dati emblema, soprattutto di una Berlino concentrata nel suo iper eccellente presente.

Ma all’esterno dell’ultimo piano dell’Akademie der Kunste, uno dei luoghi dove si articola l’esposizione, Jon Rafman ricrea esattamente il paesaggio sottostante, accanto la porta di Brandeburgo – di fronte la cupola del Reichstag, in strada i turisti della Pariser Platz – spazzando via con un’improvvisa scura tempesta persone, monumenti e anche il pavimento su cui siamo. All’improvviso, sgomenti, ci si trova circondati da corpi totalmente neri che lentamente roteano accanto all’unico pezzetto della terrazza su cui ci si tiene in bilico. Assistiamo al collasso dell’iper eccellente presente eliminato senza pietà, grazie all’uso magistrale di Oculus Rift, uno schermo per la realtà virtuale che si indossa sul viso. Con la scritta Howdy (how do you do?) Adrian Piper, storica artista afroamericana, ci saluta sbattendoci un segnale di divieto d’accesso su una porta che non si apre in cima a una scala.

La vista sulla porta di Brandeburgo e il via vai di turisti mentre dall’interno del palazzo trasparente dell’Akademie der Kunste si attraversa la mostra è un punto di vista insolito per chi vive in città. Avendo di quinta le sculture erotiche duty free, in parte donne in parte valigie, di Anna Uddenberg e la lightbox Transformalor IKEAE di Johannes Paul Raether da una sua performance dello scorso anno tenutasi dentro l’Ikea, si mette a fuoco il soffio di contemporanea paradessence (paradosso + essenza). Termine coniato dal gruppo curatoriale.

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Nicolas Fernandez, «Everything needs its own absence»

Nicolas Fernandez ci riporta con i piedi per aria con l’unico classico dipinto a olio della biennale, una donna in sirsasana, la posizione verticale nello yoga, con di fronte un bebé che prende il latte dal suo seno. Loro due beati in un paesaggio verde idilliaco e sfocato. Siamo al Kunstwerke, luogo da cui ha avuto origine la Biennale di Berlino e dove molte opere, nella maggior parte video e installazioni di immagini in flussi continui di appropriazioni da internet, ci ricordano uno dei titoli delle sezioni della Biennale, Fear of Content, paura del contenuto del flusso quotidiano dei social network.

Nella docufiction stile propaganda Army of Love di Alexa Karolinski e Ingo Niermann seguiamo messe in scena e interviste di desideri e affetti intimi liberi e soffici. Vediamo un uomo deformato dalla sua disabilità sdraiato accanto a una ragazza mentre si carezzano e sorridono, vediamo corpi disabili e non mentre vengono trasportati in acqua in sequenze di (un’idea di) amore libero e non liberalizzato. Un esercito dell’amore intergenerazionale pronto ad occuparsi di solitudini ed isolamenti. Nella nuova sede della European School of Management and Technology , in un palazzo ex sede del consiglio ufficiale della Ddr, con una vetrata alta tre piani decorata con motivi popolari dell’epoca, sono perfettamente installati i lavori di Simon Denny con Linda Kantchev e del gruppo Gcc. In una sala da conferenza Blockchain Visionaries di Denny mostra tre cabine da fiera di altrettante aziende reali che si occupano di decentralizzare capitali e reinvestirli in internet stocks.

L’occupazione principale che le accomuna è decentralizzare le operazioni bancarie per incrementare e sostenere lo scambio sovranazionale di valute come il bitcoin, in un ambito criptato che non possa essere controllato da terzi, compresi gli stati. Una modalità cosiddetta blockchain che rende automatico e non tracciabile l’accumulo di capitale. Da un’altra vetrata che si affaccia verso l’isola dei musei vediamo l’interno del cantiere del nuovo e controverso Stadt Schloss in costruzione. In una città dove la percezione della storia è divenuta un’opzione, orgoglio nazionale e orgoglio nazionalista spesso si confondono, evidenti segnali di intolleranza imbrattano la brillante superficie della capitale del capitalismo cognitivo.

Dallo storico movimento Antifa che sempre più è Anti Turistas, senza distinzioni di sorta, agli impiegati di varie generazioni che non sopportano di sentir parlare inglese a una kafkiana burocrazia che tiene ben sotto controllo tutti. Le questioni aperte di Berlino come l’incessante gentrificazione, l’arrivo epico dei rifugiati, l’impennata del mercato immobiliare non sono stati trattati in questa biennale. Gli abitanti della città ex povera ma sexy, quando combaciano con il fruitore tipo della Biennale tengono il ritmo come cantava Grace Jones, anche divertendosi, mentre la maggior parte, e gli Anti & co, e i rifugiati, per adesso, stentano sovente a tenere il passo.

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