Norma Rangeri, nell’editoriale di domenica, esprime un desiderio: vivere in un paese meno diseguale, meno retrivo e illiberale. Nel paese attuale le cose tuttavia vanno così.

Fiorella aveva 67 anni. Obesa e diabetica. Sola. Pensione sociale. Viveva in campagna con i gatti. Cominciò ad ammalarsi. Dopo l’ infezione a una ferita che non si rimarginava più, la sepsi. Non poteva più stare sola. Finisce in ospedale a Viareggio. Ossigeno, antibiotici, sopore. Poi a Lucca dove non poteva vedere la televisione: in quell’ospedale, poiché la gestione della Tv era stata affidata a privati, bisognava pagare. L’ospedale è moderno e ben tenuto, ma, evidentemente per scelte aziendali, vi si può stare lo stretto necessario. Un giorno o due al massimo. I letti devono essere liberati. Torna in Rsa, dove non vi sono medici, ma solo infermieri e infermiere.

Ciò significa che di fronte a ogni problema, bisogna chiamare l’autoambulanza e riportare la paziente in ospedale. Un altro paio di giorni e poi di nuovo in Rsa. Prima dell’ospedale di Lucca, Fiorella era già stata in quello di Viareggio e in quello di Barga, dove soggiornò una settimana. Tutto tecnicamente ineccepibile. Tutto umanamente mostruoso. Fiorella è morta dopo essere stata rimbalzata tra un ospedale e una Rsa. Perfino il prete, al funerale, a stento, ricordava il suo nome. E’ giusto morire così? Non è stata uccisa. E’ morta di buona sanità, una sanità che non contempla la dimensione umana del vivere e del morire, ma solo la condizione tecnica. Sono le radici potenti e nascoste della diseguaglianza.

Volete sapere perché i cittadini non vanno a votare? Volete sapere perché i pochi che lo fanno non votano più a sinistra, semmai a destra? E coloro che votano a sinistra sono quelli più o meno socialmente garantiti? Semplice: finché la sinistra laica non si preoccuperà più degli ultimi, perché dovrebbe essere votata dagli ultimi? Ma le importa veramente di essere votata dagli ultimi? Come combattere la diseguaglianza se non partendo dai dettagli?

La storia di Fiorella è diventata un dettaglio che non doveva essere tale, perché la vita umana di ciascuno non può essere ridotta così, eppure in un mondo di diseguali, lo diventa. Se per fare una gastroscopia con il servizio pubblico devo aspettare sei mesi e se invece, rivolgendomi al privato, la faccio subito, io, di sinistra, socialmente garantito, mi incavolo ma poi alla fine pago perché lo posso fare e non voglio rischiare. Chi non è garantito aspetta sei mesi e magari sarà troppo tardi per un intervento e una cura.

Vogliamo un mondo meno diseguale? Cominciamo con il trasformare quelli che sono considerati dettagli, come la morte di una donna senza risorse o la visita dilazionata come le cose principali e più urgenti. Riflettiamo quanto in tutto questo non ci siano di mezzo le privatizzazioni selvagge, il cinismo aziendalistico, l’arroganza democratica di chi, essendo socialmente più forte, sa per certo cosa sia il bene per tutti, ma alla fine si gode le sue garanzie personali senza preoccuparsi degli altri.

Non è una questione moralistica delegata al singolo. E’ una questione collettiva e politica. Cominciamo a uscire dalla politica, ormai ridotta all’astratto narcisismo di burattini, per guardare oltre, legando le lotte per le diversità e l’eguaglianza (le une non possono esistere senza l’altra) alla ricerca dell’utopia, della critica e del tragico, intrecciando il nostro presente a un futuro possibile e alternativo. Poi ritornare alla politica, sapendo che un ritorno siffatto si espone allo stesso rischio che corre il prigioniero liberato della caverna di Platone, quando decide di tornare dentro per parlare con i suoi compagni. Quando parlerà loro apparirà ridicolo e minacciato di morte.

Ma forse è giunto il momento di correre questo rischio, che è sicuramente minore di quello della fine della sinistra (anche se continuerà ad essere chiamata ancora così), fatta da prigionieri incatenati che hanno finito per amare le loro catene dorate. Tutto il resto è noia.